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Manca Attiliodi Giuseppe Lo Bianco - 22 agosto 2013
Lo trovarono sul letto immerso nel sangue, il setto nasale deviato, due buchi sul braccio sinistro: dopo tre richieste di archiviazione in quasi dieci anni di indagini superficiali e lacunose oggi il gip di Viterbo Salvatore Fanti arriva alla conclusione che il giovane urologo Attilio Manca, 38 anni, promessa nazionale della chirurgia della prostata, è morto per droga , anche se come ha fatto ad iniettarsela, lui ch’era mancino, resta un mistero.

A consegnargliela, per il gip, sarebbe stata Monica Mileti, unica rinviata a giudizio per un omicidio ormai prescritto, dal gip che ha archiviato le posizioni dei cinque indagati, originari tutti di Barcellona Pozzo di Gotto, qualcuno con relazioni pericolose con la mafia barcellonese. Sono Ugo Manca, cugino di Attilio, Angelo Porcino, Salvatore Fugazzotto, Lorenzo Mondello ed Andrea Pirri, i primi due con precedenti penali per traffico di droga (il primo, poi assolto in appello) ed estorsione (il secondo): erano sospettati di avere avuto un ruolo nella morte del giovane urologo che incrocia i misteri della latitanza di Bernardo Provenzano, trascorsa, come ha sostenuto un presunto mediatore del suo arresto presentatosi ai procuratori antimafia Vigna e Grasso, tra Lazio e Umbria, e dunque nel viterbese. E se l’intera inchiesta e’ stata segnata da innumerevoli omissioni, la comunicazione della notizia, già nota dal 5 agosto ad uno degli indagati che l’ha festeggiata su Facebook, ha il sapore del depistaggio: un quotidiano ha sostenuto che l’unica rinviata a giudizio era la compagna della vittima, creando così un legame affettivo del tutto inesistente.
Adesso l’archiviazione del gip blocca ogni ulteriore accertamento per stabilire se è solo per una coincidenza che nel periodo in cui il boss Provenzano fu operato alla prostata in Francia, a Marsiglia (e poi curato da un urologo siciliano, come sostenne, intercettato, uno dei luogotenenti del boss, Francesco Pastoia) Attilio Manca era in Costa Azzurra, come hanno testimoniato i suoi genitori che in quel periodo lo sentirono al telefono, una telefonata che secondo la procura non esiste, perché non risulta dai tabulati telefonici. “Non c’è – spiega Fabio Repici, il legale della famiglia Manca – perchè loro hanno acquisito, peraltro con anni di ritardo, i tabulati del 2004, mentre la telefonata riferita dalla signora Angela è del 2003”. “Un caso così andava affidato ad un pool di inquirenti specializzati per verificare nel modo più approfondito possibile l'ipotesi mafia ed il collegamento con il viaggio di Provenzano a Marsiglia. Ma incredibilmente nessuno ha fatto questa verifica!”, dice l’ex pm e ora leader di Azione Civile Antonio Ingroia. Acquisizioni probatorie carenti e omissive che hanno caratterizzato l’inchiesta sin dall’inizio, da quando la procura omise inspiegabilmente di rilevare le impronte digitali dalle due siringhe trovate (con il tappo inserito) nella casa del medico il giorno del ritrovamento del corpo.   
“Le impronte – dice Repici – sono state rilevate anni dopo la morte di Attilio e solo perchè lo ha imposto il gip su mia precisa richiesta. E non sono risultate comparabili, perchè troppo limitate. É evidente che qualcuno ha fatto sparire le impronte pulendo le siringhe. Chi – si chiede Repici - se non coloro che lo hanno “suicidato”, così come hanno pulito ogni altra traccia nell’appartamento?”. Domande senza risposta, tranne l’ultima, che il presidente della commissione antimafia europea Sonia Alfano, faccia a faccia in cella con Provenzano, ha rivolto proprio al boss corleonese: “Ma lei, Provenzano, se lo ricorda quel giovane urologo siciliano? Se lo ricorda Attilio Manca?”. Per sentirsi rispondere, cripticamente: ‘’Dobbiamo mettere in mezzo altri cristiani?”

Tratto da:Il Fatto Quotidiano

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