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tempidi Antonio Ingroia - 15 agosto 2013
L’entusiasmo con cui il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha sbandierato i nuovi dati del pil della zona euro è disarmante. Se si aspettano che anch’io mi accodi al coro di chi brinda al primo timido “segno più” si sbagliano di grosso.
La crisi sta lasciando sulla propria strada milioni di disoccupati in più e indicatori economici tornati indietro fino agli anni 80. Non basterà una generazione per tornare ai livelli di cinque anni fa.
L’Italia, poi, grazie all’irresponsabilità di chi per anni ha fatto finta di niente e non ha preso in tempo le misure necessarie, resta ancora in grave sofferenza e il pil è in caduta libera per il settimo trimestre consecutivo, vale a dire due anni e tre mesi. Berlusconi e Tremonti si portano sulla coscienza analisi e ricette sbagliate, le stesse ricette che sono state poi adottate, nel segno della continuità, da Monti prima e da Letta oggi. Con politiche economiche neoliberiste, la riduzione incostituzionale dei diritti e l’aumento indiscriminato delle tasse, anche alle classe meno abbienti, la ripresa di fatto è rimasta una chimera. E non poteva essere altrimenti. Se i lavoratori e le piccole e medie imprese sono stati lasciati soli, il welfare è stato smantellato con tagli indiscriminati ai servizi, il futuro negato ai giovani, quale ripresa ci si poteva aspettare? E, eventualmente, a che prezzo?

Miliardi e miliardi sono stati spesi per dare una mano alle banche, ai grandi finanzieri. Nulla si è fatto per combattere la grande evasione fiscale e la corruzione, che da sole portano via oltre 100 miliardi di euro l’anno. Nulla si è fatto per favorire l’occupazione e per dare una mano alle famiglie in difficoltà.
E oggi, dopo anni di lacrime e sangue, ci vengono a dire che per uscire definitivamente dalla crisi dobbiamo continuare sulla strada delle riforme, magari azzerando quel poco che resta dei diritti dei lavoratori – il che non ha portato un solo posto di lavoro in più – o alzando ancora l’età pensionabile, magari aumentando ulteriormente, invece di azzerarlo, il numero degli esodati.
A rendere ancora più odiosa la politica economica degli ultimi anni e degli ultimi governi il dato che i privilegi di casta, di tutte le caste, non sono stati toccati. La politica ha fatto finta di tagliarsi qualche spicciolo, le grandi liberalizzazioni che dovevano portare a maggiore concorrenza nelle libere professioni non sono state neanche sfiorate per la strenua (e vincente) opposizione delle lobbies che hanno ottimi rappresentanti sia in Parlamento che nel governo.
Per uscire dalla crisi, e bene, ben altre erano le ricette che dovevano essere adottate. Taccio sulla lotta alla corruzione, alla grande evasione e alla criminalità organizzata su cui ho parlato spessissimo e da cui si possono recuperare risorse che da sole basterebbero a far rientrare in pochi anni il debito pubblico nella media europea. Ma come si può negare che per risolvere i problemi del Paese, che dai ceti medi in giù è in ginocchio, servivano ricette diametralmente opposte a quelle adottate da Berlusconi, Monti e Letta? Serve una redistribuzione del reddito, una tassazione delle rendite finanziarie, una serie di interventi pubblici che, oltre a creare occupazione e a rilanciare la circolazione del denaro, possono risolvere un po’ di problemi al Paese. Sarebbe utile un grande piano di edilizia pubblica e di messa in sicurezza sia delle aree in dissesto idrogeologico sia delle scuole. E serve, infine, un investimento forte in ricerca e formazione perché, senza tecnologie avanzate, non si regge il passo con i paesi in via di sviluppo.
Insomma, serve immaginare un salto culturale che ci porti in dote un altro Paese dove la Costituzione sia rispettata e applicata, perché lì dentro c’è già tutto, dalla tutela dei diritti a quella dell’occupazione, dalla lotta alla criminalità al sostegno al disagio sociale. Ma per far questo serve anche un cambio radicale dell’attuale classe dirigente che, negli ultimi decenni, si è dimostrata incapace di far fronte alle esigenze della sua gente.

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