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tribunale-palermo-bigdi Pietro Orsatti - 12 giugno 2013
Leggo con preoccupazione, e non potrebbe essere altrimenti, la notizia che il CSM ha iniziato una procedura “per incompatibilità ambientale” nei confronti del procuratore capo di Palermo Francesco Messineo. Con accuse gravissime.
Si legge su il sito de La Stampa (www.lastampa.it):

La prima commissione del Csm ha aperto la procedura contestando al procuratore una gestione debole dell’ufficio e che non garantirebbe la necessaria indipendenza. La decisione è passata con il voto favorevole di tutti i componenti della Commissione, ad eccezione del laico del Pdl, Niccolò Zanon, che si è astenuto.
Il procuratore di Palermo è stato convocato per il 2 luglio prossimo dalla Commissione: in questa audizione Messineo, con l’assistenza di un difensore, potrà difendersi dalle contestazioni che gli vengono mosse

In sostanza, «i rapporti privilegiati» di Messineo con Ingroia «lo avrebbero condizionato nelle sue decisioni determinando spaccature e incomprensioni nella Procura di Palermo». Di qui la contestazione di incompatibilità alla base della procedura di trasferimento d’ufficio da Palermo. Un rapporto `privilegiato´ con l’ex procuratore aggiunto del capoluogo siciliano, che avrebbe condizionato il procuratore capo tanto da creare situazioni difficili all’interno dell’ufficio anche nel pool di magistrati che hanno lavorato all’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. A Messineo, inoltre, la Commissione di Palazzo dei Marescialli contesta anche un utilizzo non continuo dello strumento dell’astensione relativamente ad alcune inchieste della Procura Intanto la Prima commissione del Csm ha diffuso una nota nella quale spiega che la convocazione del magistrato per il 2 luglio prossimo «costituisce l’atto iniziale del procedimento, anche con finalità di garanzia, e ha lo scopo di consentire al magistrato di esporre le sue ragioni».

Quello che lascia totalmente esterefatti è la logica dell’impianto accusatorio. Si intende colpire Ingroia (e il lavoro che ha fatto in tutti i suoi anni a Palermo dopo essere stato fra l’altro a Marsala con Borsellino) attaccando e punendo il suo diretto superiore, Messineo. Non riuscendo a colpire i processi che Ingroia ha contribuito a mettere in piedi, e che sono in corso, si tira su un’accusa che in altre situazioni avrebbe fatto sbellicare chiunque. Il capo è stato condizionato dolosamente dal suo sottoposto, quell’incorreggibile toga rossa di Ingroia. E per questo va punito. Alla fine la ciccia è tutta qua. Lo stretto e normale e efficace rapporto di fiducia fra Messineo e il suo collaboratore. Quell’Ingroia che come magistrato ha fatto bene il suo lavoro ma che diventa attaccabile solo perché sceso in politica – e peggio che mai senza essere riuscito a farsi eleggere – e quindi va colpito e con lui tutti quelli con cui ha lavorato. A partire dal suo capo. Poi. Si butta un po’ di fumo negli occhi (presunti errori che avrebbero perfino consentito il perdurare della latitanza di Matteo Messina Denaro) e così via.

E così si cucina il procuratore Francesco Messineo decapitando la procura mentre questa sta per affrontare il processo sulla trattativa e contemporaneamente mentre i pm più esposti su quel fronte (Di Matteo e Del Bene) continuano a ricevere sempre più gravi minacce di morte. Abbastanza chiaro il messaggio?

In realtà c’era già stato, e parlo dell’inverno 2009, un tentativo forse meno esplicito ma certamente chiarissimo di colpire Messineo e la sua gestione della procura e l’apertura di fascicoli pesanti come quello sul prefetto Mori e sulla “trattativa”. La “notizia bomba” si rivelò poi una bufala, ma il messaggio era stato lanciato.
Scrivevo nel marzo di quell’anno sul settimanale left/Avvenimenti.

A Palermo fa freddo. Anzi, c’è il gelo. Non è solo un fatto climatico, anche se fino a pochi giorni fa nevicava alle porte della città, ma è la bomba virtuale esplosa sulla testa del procuratore capo Francesco Messineo cha ha fatto precipitare la temperatura di colpo. Un articolo pubblicato su Repubblica ha ufficialmente riaperto la stagione dei veleni su uno degli uffici più delicati d’Italia. «Il cognato del procuratore è un uomo d’onore», titolava venerdì 6 marzo il quotidiano. E oltre all’inverno prolungato di quest’anno, a gelare le anticamere della Procura è sopraggiunta la memoria della “stagione dei veleni”, quella delle talpe e delle lettere anonime, quella dell’isolamento di alcuni magistrati, fra cui Giovanni Falcone, fra la fine degli anni Ottanta e l’estate delle stragi del Novantadue. Ovvio, il Csm apre subito un’inchiesta. Ovvio, i sostituti e i collaboratori di Messineo esprimono la propria solidarietà al capo. Il ministro Alfano sembra voler inviare un’ispezione immediata al palazzo di Giustizia di Palermo. Poi ci ripensa, gli ispettori rimangono a Roma.
Si comincia a pensare se non a una bufala intera a una “mezza” bufala, a una polpetta avvelenata a cui qualche cronista forse ha abboccato. Certo che quel titolo rimane. La carriera del procuratore di Palermo, dal 6 marzo, probabilmente è segnata. Cosa è accaduto? Qualcuno ha fatto pervenire alla stampa l’informazione sul fatto che l’Arma dei carabinieri aveva intercettato due anni fa il cognato del procuratore capo, Sergio Maria Sacco, marito della sorella della moglie di Messineo, gettando sul parente l’ombra di concorso esterno a Cosa nostra. La vicenda era vecchia e archiviata, ma piove in forma di cronaca in questa gelida Palermo. Anche perché, si scopre dopo, Sacco non è stato neanche indagato per quella telefonata intercettata, e altre accuse dei decenni precedenti lo avevano visto assolto. Tutto a conoscenza anche del Csm da anni, appunto. Chi ha fatto la soffiata (che soffiata non è) alla stampa?
Mistero. Sono stati i carabinieri, o meglio i Ros, con cui comunque Messineo ha costruito un rapporto esclusivo tenendo fuori dal gioco grosso, a volte, le forze di polizia? Erano irritati che il loro primato sulle indagini a Palermo fosse messo in discussione dopo gli ultimi riassetti di nomine e promozioni in Procura? Oppure: la “gola profonda” va cercata nelle fila della polizia di Stato, nell’ottica dello scontro ormai sempre più palese fra le due forze? O ancora, si tratta di un’ulteriore offensiva da parte di chi ha già decapitato le procure di Catanzaro e Salerno, come raccontano gli stessi pm di Palermo in un comunicato? La vicenda Sacco è «molto datata, già nota al Csm e valutata come irrilevante in occasione della nomina di Messineo a procuratore» e «non ha mai prodotto all’interno dell’ufficio riserve o limiti di alcun genere, anche per il ritrovato entusiasmo nel lavoro di gruppo, nella tradizione dello storico pool antimafia, e per l’effettiva gestione collegiale dell’ufficio». E poi, sempre secondo i pm, la polpetta avvelenata viene servita in «coincidenza temporale col progredire di delicatissime indagini sulle relazioni esterne di Cosa nostra». Qualcuno disse, decenni fa, «si sente tintinnare di sciabole». A farne le spese, l’intero ambiente.
«Una volta per toglierci di mezzo ci ammazzavano – spiega un tagliente Roberto Scarpinato, storico pm del processo a Giulio Andreotti, a lato di un convegno – ora non ne hanno bisogno. Ci sono altri modi per ridurci al silenzio. Chissà, forse dovremmo esserne pure grati». Ci pensa un po’ su e chiede al suo collega Antonio Ingroia, sostituto procuratore, che gli siede accanto: «Come si chiamava quel ministro dei Lavori pubblici che diceva che dovevamo conviverci con la mafia?». Ingroia sorride: «Lunardi, credo fosse Lunardi». Conclude Scarpinato: «Ecco, sì, forse dovremo imparare a conviverci con la mafia».

Scarpinato è andato a fare il procuratore generale a Caltanissetta e Ingroia, dopo una breve e fallimentare esperienza politica ora si barcamena a Aosta difendendosi un giorno si e uno no da attacchi personali e politici e azioni disciplinari. Questo per inciso. “Forse dovremo iniziate a pensare di conviverci con la mafia”, dicevano allora i due pm. Rileggendo oggi quelle battute si potrebbe allargare la lezione. Forse dovremmo imparare (tutti noi) a convivere con le affrettate normalizzazioni che scattano appena si sfiora l’intoccabile: la lunga e mai interrotta interlocuzione fra pezzi dello Stato e mafia.

Tratto da: orsattipietro.wordpress.com

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