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messineo-carabinieridi AMDuemila - 1° giugno 2013
Ancora critiche contro i magistrati della Procura di Palermo che si occupano del processo per la trattativa Stato-mafia, iniziato lunedì scorso. L'ultima è arrivata da Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio della magistratura, in un clima già carico di tensione e ostilità a causa dei ripetuti attacchi ai pm palermitani, bersagliati da lettere minatorie contenenti pesanti minacce di morte.
Il vicepresidente del Csm, in un'intervista a La Stampa, ha pesantemente criticato i magistrati di Palermo per aver 'osato' richiedere la testimonianza del Presidente della Repubblica Napolitano al processo sulla trattativa. Secondo Vietti si tratta di “una mancanza di rispetto per il ruolo che riveste Napolitano e per la sua storia” chiamarlo a testimoniare in un processo “che vede come imputati i più feroci macellai della storia della mafia” creando così un collegamento “anche solo mediatico, dell’alta figura del Capo dello Stato a un’ipotesi di trattativa tra Stato e mafia”.

I pm che seguono il processo non sono rimasti in silenzio di fronte all'ennesima critica mossa contro uno dei processi più contestati della storia del nostro Paese (l'ultima rivolta contro Massimo Ciancimino, arrestato qualche giorno fa per evasione fiscale ed associazione a delinquere, ma che riveste comunque un ruolo chiave nel filone investigativo).
Nessuna replica ufficiale dal pool, tanto che lo stesso procuratore Francesco Messineo ha dichiarato di non aver letto l'intervista e di non avere niente da dichiarare. Ma alla fine di una riunione tra i magistrati è stata lanciata una provocazione, tramite una mail indirizzata alla mailing list dell'Anm e firmata solo dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi: “Ai colleghi che hanno voglia di leggere e di riflettere liberamente: si tratta di un’interferenza su un processo in corso, specie considerando che il giudice che ha già fatto la prima valutazione deve ancora pronunciarsi sull’ammissione delle prove?” hanno domandato gli inquirenti del processo sulla trattativa Stato-mafia, preoccupati che l'intervento di Vietti possa condizionare la decisione della Corte d'assise, che deve ancora pronunciarsi sulla lista dei 178 testi che hanno chiesto di sentire i pm Di Matteo, Teresi, Del Bene, Sava e Tartaglia.
“La nostra linea è di non pronunciarci sui processi in corso. Qualunque cosa dicessimo, rischieremmo di incidere su scelte che devono essere adottate da colleghi” ha dichiarato il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli. Resta però un fatto che il processo che mette alla sbarra Stato e mafia continua ad essere al centro di polemiche e ripetuti attacchi ai quali quasi mai fanno seguito dichiarazioni di solidarietà e sostegno. Tutto questo non fa che alimentare il clima di tensione esistente. “È un clima dal quale si deve uscire, è una sensazione che si deve superare, per il corretto e sereno esercizio della giurisdizione. Se ora intervenissimo nello specifico, rischieremmo non di semplificare ma di aggiungere polemiche” ha concluso il presidente dell'Anm, che ha preferito soprassedere piuttosto che difendere alcuni tra i magistrati più esposti in questo momento. Non ultimo lo stesso Di Matteo, membro fino a qualche mese fa dell'Anm di Palermo, che secondo l'accusa avrebbe “violato il principio di riservatezza del Capo dello Stato” (mentre invece è stato Panorama a darne notizia per primo) quando, in un'intervista a Repubblica, avrebbe ammesso l'esistenza delle conversazioni tra l'ex ministro Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, nonostante il reato sia privo di fondatezza. I giudici hanno deciso che il Presidente della Repubblica non testimonierà su quelle telefonate. Dovrà però rendere conto dei contenuti di alcune lettere indirizzategli dall'ex consigliere Loris D'Ambrosio (deceduto a luglio dell'anno scorso) nelle quali si lamentava di essere stato strumento per “indicibili accordi”.

In foto: il procuratore Francesco Messineo

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