Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

spazzatura-bambinidi Anna Dichiarante - 20 aprile 2013
“Il Sistri (sistema integrato di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione, per permettere l’informatizzazione dell’intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la Regione Campania. Il sistema semplifica le procedure e gli adempimenti, riducendo i costi sostenuti dalle imprese, e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell’illegalità.
La lotta all’illegalità nel settore dei rifiuti speciali costituisce una priorità del Governo per contrastare il proliferare di azioni e comportamenti non conformi alle regole esistenti e, in particolare, per mettere ordine ad un sistema di rilevazione dei dati che sappia facilitare, tra l’altro, i compiti affidati alle autorità di controllo”.

Così recita la pagina web ufficiale del Sistri; a leggerla oggi, però, suona come un’inquietante beffa. Il 17 aprile scorso, infatti, i sostituti della Procura di Napoli, coordinati dall’aggiunto Francesco Greco, hanno chiesto ed ottenuto l’emissione di ventisei provvedimenti cautelari da parte del giudice per le indagini preliminari, misure eseguite poi dalla Guardia di finanza del capoluogo campano: tre ordinanze di custodia cautelare in carcere, diciannove di applicazione degli arresti domiciliari e quattro di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; senza contare, inoltre, il sequestro di un patrimonio complessivo di oltre dieci milioni di euro. Le imputazioni vanno dall’associazione per delinquere finalizzata all’emissione ed all’utilizzo di fatture false, alla corruzione, alla truffa aggravata, al riciclaggio, al favoreggiamento, fino all’occultamento di scritture contabili; i reati contestati avrebbero generato, appunto, una catena di irregolarità e di inadempimenti, concernenti la realizzazione ed il funzionamento del Sistri. O sarebbe meglio dire, forse, la sua mancata realizzazione ed il suo mancato funzionamento.
Dell’istituzione di un sistema informatico di tracciabilità (di una rete, in sostanza, in cui confluissero i dati, provenienti da tutti coloro che producono e trasportano rifiuti pericolosi, e che garantisse la trasparenza dell’intero ciclo di smaltimento) s’era iniziato a parlare già nel 2007, quando ministro dell’ambiente era Alfonso Pecoraro Scanio; nel 2008, il Governo Berlusconi appose il segreto amministrativo sul progetto, ciò che permise, nel 2009, di procedere all’affidamento diretto e senza gara dell’appalto, nelle mani della Selex service management, società del gruppo Finmeccanica. Il segreto (qualificato inizialmente come segreto di Stato e derubricato, in seguito, come amministrativo) sarebbe stato necessario - vista la particolare delicatezza della materia - sia per proteggere le strategie e le tecnologie utilizzate da Finmeccanica sia per garantire la sicurezza nazionale, preservando il progetto da eventuali infiltrazioni mafiose. Ora, però, grazie all’eliminazione del segreto e grazie alle indagini svolte dalla Procura di Napoli, sta emergendo tutta un’altra storia: si è scoperto, infatti, che il Sistri non solo non è mai entrato in attività, ma nemmeno esiste nelle sue strutture di base, che i suoi costi si sono gonfiati a dismisura e che, dei circa quattrocento milioni di euro stanziati per l’opera, una settantina sono già stati dilapidati, senza che il progetto ne abbia minimamente giovato. Sembra, dunque, ragionevole pensare che il segreto servisse, in realtà, a nascondere i termini e le condizioni economiche del contratto, i quali risultano ampiamente svantaggiosi per lo Stato. Per la fornitura delle chiavette usb su cui registrare i dati e delle scatole nere da montare sui camion del trasporto rifiuti, la Selex avrebbe, infatti, trattenuto una quota consistente - un corrispettivo fuori mercato - dei contributi versati dagli utenti, al momento dell’iscrizione obbligatoria al sistema. Non solo, ma, in caso di mancata realizzazione dell’opera, i rischi sarebbero rimasti interamente a carico della parte pubblica. Personaggio centrale, secondo la ricostruzione della Procura, sarebbe stato Carlo Malinconico (sottosegretario dimissionario alla Presidenza del Consiglio, ai tempi di Mario Monti, finito ora agli arresti domiciliari), il quale - in qualità di consulente per conto del Ministero dell’ambiente, nonché di presidente della commissione di vigilanza per la valutazione della corretta gestione del contratto d’appalto - avrebbe sempre dato parere favorevole rispetto alle modalità di esecuzione dei lavori da parte della Selex, nonostante le anomalie successivamente riscontrate. Tra queste, in primis, il fatto che l’allora amministratore delegato di Selex, Sabatino Stornelli, avesse disatteso il divieto di cedere in subappalto le commesse inerenti il progetto, concedendo vari subappalti all’imprenditore Francesco Paolo De Martino. Quest’ultimo, a sua volta, avrebbe poi provveduto a creare una serie di società fittizie, al solo scopo di far lievitare i costi dell’opera. L’ipotesi della Procura è che, a chiusura del circuito, ci fossero due contratti di consulenza da cinquecentomila euro l’uno, che lo stesso De Martino avrebbe stipulato a favore di società di Malinconico.
Presunta corruzione, quindi; presunte fatturazioni a vuoto e presunta creazione di fondi per finanziare società di proprietà dei soggetti coinvolti nell’inchiesta o per loro usi personali. Presunzioni, certo, almeno finché l’impianto accusatorio non verrà confermato. Quel che già si può affermare con sicurezza, tuttavia, è che si sia cavalcata in maniera fraudolenta l’emergenza cronica dei rifiuti, che si siano gravate migliaia di imprese di oneri burocratici ed economici finora risultati inutili, che il lassismo delle istituzioni pubbliche abbia bruciato, ancora una volta, tempo e denaro, senza aver prodotto alcunché.
La beffa - quella ancor più dura da digerire, se possibile - è che, in Italia, il traffico illecito di rifiuti costituisce il centro di una ragnatela di malaffare, su cui s’impigliano infinite vicende di smaltimento irregolare, di avvelenamento di consistenti porzioni del nostro territorio, di mancate bonifiche; una ragnatela sui cui fili viaggiano anche le navi dei veleni, inabissate nei nostri mari; una ragnatela costellata dai roghi tossici della cosiddetta Terra dei fuochi; una trama nelle cui maglie proliferano pure le attività illecite di escavazione e di movimentazione terra, la creazione di discariche abusive e le opportunità d’oro per le aziende criminali di trasporto su gomma. Il Sistri avrebbe potuto essere uno strumento efficace per smettere d’ingrassare la ricchezza delle organizzazioni mafiose, ma, soprattutto, per smettere di dimagrire sempre più le prospettive di salubrità del nostro ambiente e di benessere dei cittadini; invece, pare che il progetto sia finito nell’elenco di quelle tipiche operazioni di facciata, di quei paraventi che nascondono soltanto un lauto banchetto di corruzione e null’altro. Mentre le mafie, rimaste a guardare l’autolesionismo statale, sentitamente ringraziano.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos