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orlando-leonardodi Norma Ferrara - 30 marzo 2013
Si trova ogni giorno davanti ai fatti e da quindici anni li racconta. Leonardo Orlando è un giornalista, ha 51 anni e scrive da Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, per il quotidiano “La Gazzetta del Sud”. Non è abituato a fare passi indietro: che si tratti dell’arresto dell’ultimo latitante della cosca locale, Filippo Barresi o delle indagini per il furto di benzina, dentro il vicino stabilimento della Raffineria Mediterranea. Così, all’origine dell’incendio doloso che due giorni fa ha distrutto la sua automobile potrebbero esserci diversi moventi.

Non guarda subito alla mafia Orlando, sebbene delle cosche barcellonesi si sia occupato per  anni. Ma non la esclude. I clan, fiaccati dalle indagini della magistratura della Dda di Messina e dalle collaborazioni di alcuni boss regolano i conti alla luce del sole, a due passi da piazze e dentro i bar della città. E da mesi a Barcellona Pozzo di Gotto si teme una nuova guerra di mafia.
«Di fronte all’incendio la prima sensazione che ho avuto – racconta Orlando a “Ossigeno per l’informazione”  e “Libera Informazione”– è quella di essere impotente rispetto a ciò che stava accadendo davanti ai miei occhi. Le fiamme che si alzavano dalla vettura ci impedivano di uscire dal portone di casa, temevamo anche per un’anziana che vive proprio al primo piano. A svegliarci sono stati i vicini che hanno suonato al campanello e poi si sono dovuti allontanare a causa dell’incendio». Alcune tracce di benzina, rubata da un’altra automobile, sono state trovate sul posto: per i magistrati e i vigili del fuoco si tratta di un attentato, un segnale intimidatorio in piena regola. Un atto premeditato e organizzato contro il giornalista che negli ultimi mesi ha raccontato  di arresti eccellenti, delle prime collaborazioni di ex appartenenti al clan ma anche di malaffare e illegalità.
Nonostante ciò, Orlando è sorpreso dal gesto di intimidazione ricevuto la scorsa notte. «La provincia – si legge nella relazione annuale della procura nazionale antimafia è stata per molti anni avvolta in un “cono d’ombra” informativo che ha rafforzato le cosche» e isolato chi provava a contrastare il sistema. «Ho percepito alcuni segnali di tensione nei miei confronti – racconta Orlando – quando il giorno dell’arresto del latitante più importante della cosca locale, Filippo Barresi – davanti al commissariato per tutto il giorno c’eravamo soltanto io e i suo famigliari. Chiaramente quando hanno capito che ero “il giornalista” hanno provato ad osteggiarmi, quasi con l’intento di allontanarmi». Il fatto di essere soli di fronte ai fatti, in momenti così delicati, espone ancora di più, spiega Orlando. La “Gazzetta del Sud” giornale molto criticato per alcune posizioni “conservatrici” è una testata radicata nei paesi della provincia messinese «molto spesso diamo le notizie prima degli altri – spiega. Come quando abbiamo denunciato, a seguito di una indagine della magistratura, il furto di benzina da parte di dieci dipendenti della Raffineria Mediterranea. Siamo stati attaccati per questo, anche dai sindacati, eppure c’è una inchiesta, si tratta di fatti di cronaca giudiziaria e abbiamo il dovere di raccontarli». Ma  vedere il proprio nome sul giornale locale più letto nella provincia non fa piacere. E spesso si reagisce anche attraverso commenti anonimi su portali on line. «Avevo denunciato alcuni mesi fa un imprenditore, oggi testimone di giustizia, che mi accusava di diffamazione a causa di articoli di cronaca pubblicati un sito». L’accusa mossa ad Orlando era quella di stare dalla parte di un gruppo criminale in luogo di altri. Può accadere anche questo, quando fai il giornalista locale perché come ha scritto il collega Nuccio Anselmo nel suo articolo “Vivere e scrivere in terra di mafia”: «Mentre gli inviati stanno al massimo un paio di giorni, parlano con questo e quello, e poi se ne vanno, il cronista attento e scrupoloso di un giornale radicato nel territorio come il nostro affronta ogni giorno i mafiosi da vicino, se li vede intorno, li “annusa”alle spalle, non se ne può liberare». A Barcellona Pozzo di Gotto, lo ricordiamo, vent’anni fa la mafia uccideva il cronista de “La Sicilia” Beppe Alfano, che in solitudine raccontava l’ascesa dei barcellonesi e le  latitanze dorate dei boss della mafia nella provincia “babba” (sciocca, ndr).

Tratto da:liberainformazione.org

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