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passaggio-di-testimonedi Salvo Vitale - 5 gennaio 2013
Ieri sera, presso l’Auditorium della RAI Sicilia ha avuto luogo la presentazione del libro “Passaggio di testimone”, edito da Navarra. Erano presenti, oltre all’editore, Salvo Vitale, che ha scritto l’introduzione, Franco Nicastro, che ha raccontato di Giovanni Spampinato, , Roberto Alaimo, che si è occupato di Peppino Impastato, Giampiero Caldarella, che ha scritto di Cosimo Cristina.

Il ricordo di 11 giornalisti uccisi dalla mafia e dal terrorismo è stato affidato, in un ideale “passaggio di testimone” ad 11 giornalisti contemporanei, che ne hanno tracciato un proprio profilo. La presentazione è stata anche un’occasione per ricordare l’anniversario dell’uccisione di Giuseppe Fava (5 gennaio 1986) e della nascita di Peppino Impastato (5 gennaio 1948) e per discutere della crisi della carta stampata, dei nuovi strumenti di comunicazione, dell’omogeneizzazione dell’informazione, asservita ai partiti o ai padroni delle testate, e della difficoltà di fare giornalismo d’inchiesta o di denuncia. Ecco l’introduzione al libro.   

Passaggio di testimone
Il testimone è il latore di una testimonianza, colui che trasmette un ricordo che lo ha visto protagonista o comparsa, chi ha vissuto un’esperienza in una determinata occasione, o insieme a un determinato personaggio. Poter dire “io c’ero” significa riempirsi d’orgoglio, acquisire un’importanza spesso determinata dal caso, che  ti ha fatto vivere una circostanza che, in altri casi è invece la conseguenza di scelte ben precise, fatte soggettivamente o condivise. Ma questo ha poco a che fare con il bastoncino che gli atleti passano di mano, dopo aver fatto la propria frazione, cioè con la prova che qualcuno prima di te ha percorso la sua strada e che ora tocca a te continuare, sino a quando non dovrai passare il testimone a un altro. Chi ha in mano il testimone ha una grave responsabilità: non perderlo, non farlo cadere, essere degno dello sforzo del compagno che glielo ha passato, anzi, tentare di far meglio. Le staffette vengono chiuse dagli atleti più veloci. Tutto ciò all’interno del fatto che ognuno è se stesso, ha una sua identità, sue caratteristiche e potenzialità che non vanno confuse con quelle di chi lo ha preceduto. Il passaggio implica un gioco di squadra, una sinergia all’interno di un percorso comune, ma soprattutto una responsabilità individuale che va ben oltre l’attraversamento di un solco tracciato da un altro e che diventa contributo personale al progetto che porterà alla fine della corsa, a meno che, la mancanza di un punto di arrivo non implichi una serie non quantificabile di passaggi, all’interno di una corsa lunga quanto la storia dell’umanità. E quindi il testimone come prova dell’avvenuto passaggio di mano, come espressione di una volontà di continuazione, come eredità, come incarico a proseguire. Nel caso dei giornalisti uccisi dalle mafie tutto questo diventa una sorta di testamento, l’ideale prosecuzione di una traccia di sangue e un invito a che il sacrificio non sia stato vano, non finisca nel silenzio e nella dimenticanza. Continuare a scrivere, a servirsi degli strumenti della tecnologia per denunciare le storture, i sotterfugi, le illegalità, le furbizie, le violenze, i responsabili dei delitti, le trame, le ambizioni, gli interessi, gli obiettivi, i metodi e i mille volti del malaffare, le persone che mettono in atto tutto questo, è un imperativo categorico che ti porta a fare i conti con te stesso e a valutare quanta voglia e quanto coraggio ti siano rimasti dentro. In fondo, l’omertà è il silenzio complice, è l’aura di protezione che consente ai mafiosi di continuare a stare a galla perché nessuno deve sapere quello che fanno o, se qualcuno lo sa, bisogna evitare che lo si dica ad altri. Il silenzio è tenere il testimone per sé, non passarlo, non condividere con nessun altro ciò che appartiene alla tua sfera di conoscenze e che ti è stato comunicato per via riservata. La trasmissione della notizia, soprattutto se si sta sul territorio e se ne conoscono capillarmente le trame, i protagonisti, i risvolti, è lo strumento più delicato quando si tratta di togliere agli intoccabili la loro aureola di superiorità e restituirli al loro autentico ruolo di mascalzoni e assassini. Peppino Impastato e i suoi amici lo avevano fatto usando una satira feroce. E’ possibile anche che questo testimone sia rimasto nelle mani di chi lo portava e che non ha fatto a tempo a passarlo. E in questo caso chi lo raccoglie compie un atto di responsabilità e accetta un’eredità in cui è compresa anche la propria sopravvivenza, in cui è messa in gioco la propria vita. L’elenco non è completo, mancano figure come Maria Grazia Cutuli, Ilaria Alpi, Vittorio Arrigoni, per restare solo in Italia. Queste storie e questi passaggi di testimone non sono conclusi: ognuno può raccogliere in ogni tempo il bastoncino, mettere a frutto la lezione e l’esempio e continuare. Se da alcuni anni c’è stata una tregua, non si uccide il giornalista scomodo, è perché questo non esiste più: il controllo capillare dei mezzi d’informazione, dalla stampa alla televisione, gestito, in gran parte, da una sola persona, ha prodotto un’informazione velinata, censurata, bloccata e omogeneizzata: a questo sistema si sono associati anche gli organi di comunicazione della politica, producendo una serie di “pennivendoli” pronti all’esaltazione retorica del leader, ai pettegolezzi relativi alla sua vita privata, al bilanciamento delle notizie, specie quelle sulla corruzione, per far vedere che sono tutti uguali e che ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, pronti a essere messi in circuito con le “macchine del fango”.  Il sistema funziona anche perché foraggiato dai proventi della pubblicità, distribuita secondo precisi parametri, e dai contributi governativi. Costoro non raccolgono alcun testimone se non quello che gli offrono i loro padroni.    La legge sulla “diffamazione”, che doveva essere migliorata per evitare il carcere a Sallustri, è stata peggiorata con l’aumento delle multe e il permanere del carcere. Quella sulle intercettazioni non tarderà molto a passare: la casta si tutela.  Cosa rimane? Forse tornare ai vecchi giornalini autogestiti, ai volantini, ai ta-ze-bao, ai manifesti sui muri, ai comizi, sempre che si riescano ad avere le autorizzazioni per farlo. Pensare a una radio o a una televisione fuori dal concetto di “businnes” è ormai impossibile, tanti sono le spese e i paletti che sono stati posti a protezione dell’esistente. L’unico spiraglio rimasto aperto è dato da Internet e dai vari blog,  siti, facebook, attraverso i quali è possibile comunicare pensieri e idee. Ma già si sta studiando come mettere il bavaglio anche a questo.  E’ a partire da quelle che Peppino Impastato chiamava “macchie liberate”, che può prendere corpo un progetto in cui informare significhi creare “un primo livello d’informazione e controinformazione come momento di rifiuto dell’informazione di regime, … un secondo livello di intervento politico, cioè intendere l’informazione come strumento di lotta e di coordinamento del dissenso e un terzo livello di spazi autogestiti come momento di coordinamento delle lotte di massa e di un processo di crescita di un movimento d’opinione democratico e di opposizione alla politica dei sacrifici sinora indirizzata solo verso i ceti più svantaggiati.
(Salvo Vitale)

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