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cassata-franco-webdi Fabio Repici - 15 giugno 2012
Ieri mattina, al processo a carico del Procuratore generale di Messina, imputato di diffamazione pluriaggravata ai danni di Adolfo Parmaliana, è stato il giorno della coerenza per il dr. Antonio Franco Cassata. Egli, come dall’avvio del dibattimento, si è mantenuto contumace e così, perdurando il suo rifiuto a comparire innanzi al giudice, giunti al momento in cui secondo le regole processuali si sarebbe dovuto tenere il suo esame, come ufficializzato da uno dei suoi difensori, si è dovuto prendere atto che Cassata non si è voluto sottoporre a esame e si sono pertanto acquisiti al fascicolo del dibattimento i verbali dei due interrogatori che Cassata rese nel corso delle indagini.

Insomma, coerentemente, la Procura generale di Messina ha continuato ad avvalersi della facoltà di non rispondere, questa volta nella persona del capo di quell’ufficio, dopo che ciò era avvenuto qualche udienza fa a opera di alcuni dei suoi cancellieri. E, se è processualmente diritto di Cassata quello di tenersi lontano dal suo giudice e di evitare di rispondere in udienza in ordine ai fatti a lui addebitati, voglio proprio vedere se nelle prossime settimane ci sarà qualcuno, all’interno del Consiglio superiore della magistratura, che avrà il coraggio di votare in favore del dr. Cassata per la proroga del suo mandato di Procuratore generale di Messina, alla scadenza del quadriennio da quella sua nomina che tanto sgomento aveva provocato in capo ad Adolfo Parmaliana. Perché sarebbe per l’ennesima volta un caso inedito, quello della proroga per l’unico Procuratore generale d’Italia imputato (addirittura per una diffamazione commessa con uno squallido dossier anonimo), che, per di più, si rifiuta di comparire innanzi al suo giudice e di rispondere alle accuse rivoltegli, trascurando le tante altre ragioni che, come in origine ne sancivano l’ingiustificabilità della nomina, a maggior ragione ne certificano l’inaccettabilità della proroga in quell’incarico oggi che l’imputato Cassata è pure padre di uno degli indagati della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto nell’indagine per associazione a delinquere finalizzata alla truffa per i falsi incidente stradali che hanno fatto della Tombstone siciliana (appunto, Barcellona Pozzo di Gotto) la capitale delle frodi assicurative.
Per il resto, dopo le testimonianze della giornalista Manuela Modica (che ha riferito al giudice la propria indignazione per l’occasione in cui, intervistato Cassata nella settimana successiva al suicidio di Adolfo, si sentì consigliare, nonostante fosse la prima volta che ci parlava, di dare “basso profilo” alla storia del professore universitario, essendo evidentemente quel magistrato abituato a dettare la linea ai giornalisti) e dell’avvocato Tommaso Calderone (il quale, tra l’altro, ha escluso di aver mai posseduto la sentenza della cassazione ritirata da un terzo per suo conto e trasmessa il 14 novembre 2008 per fax al Procuratore generale di Messina, poi goffamente allegata al dossier anonimo senza cancellarne in ogni pagina la stampigliatura dell’utenza dal quale quel fax venne inviato), una buona parte dell’udienza è stata occupata dall’esame dell’esperta incaricata in fase d’indagine dal pubblico ministero per riferire se le evidenti somiglianze rilevabili fra la grafia apposta sulle buste inviate dall’anonimista allo scrittore Alfio Caruso, alla stessa Procura generale e al sindaco di Terme Vigliatore e la grafia del dr. Cassata fossero la prova che l’alto magistrato, oltre a essere il mandante del dossier anonimo, ne fosse addirittura stato perfino l’esecutore materiale. La grafologa ha insistito nel dichiarare che le pur rilevate “similarità” del tratto grafico del dr. Cassata con quello dell’anonimista non valessero ad affermare l’attribuibilità al magistrato barcellonese della grafia apposta sulle buste contenenti il dossier anonimo. Nell’occasione, si è appreso dalla grafologa pure che, allorché comparve al suo cospetto per rilasciare, su richiesta del Procuratore di Reggio Calabria, un saggio grafico da utilizzare per la comparazione, il dr. Cassata fu preda di uno “stress emotivo” culminato in un attacco di pianto che la grafologa ha ritenuto non simulato e per questo causa dell’inutilizzabilità del saggio grafico per l’esame comparativo. Già in precedente udienza si era appreso dal testimone Salvatore Caruso che il dr. Cassata gli si era detto in preda a uno stato di disperazione che l’aveva costretto a fare uso di psicofarmaci: a voler essere rigidi, un’altra insuperabile causa che dovrebbe impedire al Consiglio superiore della magistratura di prorogare le funzioni di Procuratore generale di Messina per l’angosciato Cassata.
In ultimo, insieme alla testimonianza dell’avv. Giuseppe Carrabba (che ha raccontato al giudice i suoi vaghi ricordi su due conciliaboli avuti con il dr. Cassata in epoca successiva alla morte di Adolfo Parmaliana) è stata raccolta la curiosissima testimonianza di uno dei principi del foro di Reggio Calabria. L’avv. Managò, infatti, chiamato a deporre dai difensori di Cassata, dopo aver detto di conoscere da decenni, per ragioni professionali, il Procuratore generale di Messina e di apprezzarne da sempre “la lealtà e la correttezza” (e dopo aver dovuto aggiungere, sulla domanda sorta spontaneamente in chi scrive queste righe, che tutti i magistrati messinesi da lui conosciuti sono caratterizzati da analoghe “lealtà e correttezza”: altro che rito peloritano!) ha rivelato un aneddoto davvero simpatico. Si avvicinava per il dr. Cassata l’avvio del processo a suo carico e, pur essendo difeso dagli avvocati Alberto Gullino e Armando Veneto, egli si era recato a Reggio Calabria a consulto presso l’avv. Managò. Aveva bisogno di raccoglierne il parere sulla propria vicenda processuale: Cassata non gli portò le carte processuali; espose a voce i fatti addebitatigli (non proprio dettagliatamente, se Managò, come da lui ammesso, non ne serba pressoché più alcun ricordo). Fu sufficiente, però, perché il professionista reggino esponesse al magistrato barcellonese le proprie conclusioni: era davvero un’ingiustizia che Cassata fosse stato citato a giudizio.
Visto che l’affabulazione di Cassata, stando alle parole di Managò, ha esiti così convincenti, viene da pensare che sia stata una tattica processuale suicida quella che lo ha portato a non rendere esame innanzi al giudice. Per il suo bene quasi quasi ci si dovrebbe augurare che cambi idea e venga a raccontare al giudice di corsa la sua verità, anziché mantenersi nella posizione di Procuratore generale contumace.
Fabio Repici

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