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ingroia-antonio-web0da Corriere della Sera - 1° novembre 2011
Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia scrive al Corriere della Sera

Caro direttore,
nel ringraziarla per la correttezza con la quale il suo giornale, al contrario di qualche altra testata, ha sintetizzato il mio intervento di domenica scorsa a Rimini, vorrei cogliere l'occasione per riprovare a sottoporre a confronto il reale senso del mio intervento, che mi pare sia stato purtroppo confermato dal fragore di certi attacchi dai quali, come era prevedibile, sono stato ancora una volta investito.

E' consentito a un magistrato, famoso o no poco importa, esprimere la propria opinione su tematiche legate alla sua professione come Costituzione, legalità e antimafia? E gli è consentito interloquire con la politica su questi temi, poco importa in quale contesto, purché egli non dimostri collateralismo con alcun partito? Io credo di sì. Credo sia un mio diritto come cittadino e un mio dovere come magistrato, e perciò l'ho fatto anche in convegni, manifestazioni o congressi dei partiti che mi hanno invitato per ascoltare il mio punto di vista, e l'ho fatto davanti a iscritti ai partiti politici di diverso orientamento politico-culturale, dai comunisti all'Idv, a «Futuro e libertà», senza aderire a nessuno di essi. E sono pronto a farlo anche in manifestazioni organizzate, perché no, dal Pdl. Non conta dove si dicono le cose, ma quel che si dice. E ho detto pure che mi sento dalla parte della Costituzione, un partigiano della Costituzione, che dalla resistenza partigiana è nata, restando sempre doverosamente imparziale nell'esercizio delle mie funzioni proprio perché quella stessa Costituzione me lo impone, ma con le opzioni valoriali che quella stessa Carta dei diritti mi indica. Le reazioni, spesso composte, e talune manipolazioni mediatiche del mio intervento, che mi presentano come magistrato parziale e comunista, sono però la conferma dell'imbarbarimento della lotta politica, alla ricerca di facili pretesti per tirare acqua al proprio mulino. E questa è la cosa che più dovrebbe preoccupare tutti. Venti anni fa a nessuno sarebbe passato per la mente di attaccare un magistrato di fronte a una dichiarazione di fedeltà ai valori costituzionali e l'accostamento della parola «partigiano» alla Costituzione non avrebbe destato scandalo. Oggi, invece, sì. Possibile avviare un serrato ma pacato confronto su questi temi? Io ancora non dispero. Altrimenti, non resta che prendere atto del gravissimo arretramento del dibattito politico-culturale nel nostro Paese, al quale mi auguro che la parte più consapevole del mondo delle istituzioni e dell'informazione sappia porre rimedio.


Tratto da: Corriere della Sera

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