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di Anna Petrozzi - 18 aprile 2011 - FOTOGALLERY
Tremila persone hanno illuminato il cuore di Palermo, sabato pomeriggio, con le loro fiaccole accese a sostegno dei magistrati. Nemmeno la pioggia e il freddo fuori stagione hanno scoraggiato il corteo festoso e combattivo che con cori e slogan ha manifestato la propria vicinanza e solidarietà ai giudici, destinatari delle continue minacce mafiose, ma soprattutto bersaglio...

 
 
 

...continuo del ducetto derilante e dei suoi cortigiani.
L’idea è venuta ad un gruppo di giovani dopo che il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, nel corso di un’intervista, aveva spiegato che il clima odierno è tale da poter indurre Matteo Messina Denaro,  l’ultimo stragista di matrice corleonese ancora latitante, a cedere alla tentazione di ricorrere a omicidi eccellenti.
In modo forse del tutto inedito quindi la società civile ha deciso di agire, di scendere in piazza, di protestare e partecipare senza bisogno di nessuna ricorrenza e soprattutto non all’indomani di una strage o di un omicidio eccellente.
Questo è infatti il punto: difendere i magistrati e il loro delicato lavoro ora che sono vivi mentre affrontano sfide importantissime come le indagini sui retroscena delle stragi del ‘92 e del ‘93. 
Quindi il comitato “cittadinanza per la magistratura” ha invitato la popolazione a riempire le strade della città, senza lacrime, ma con una grande voglia di agire, di prendere le distanze dalla politica di aggressione cieca scatenata contro i magistrati colpevoli di non essere in vendita per un piatto di lenticchie, o per una manciata di escort.
E Palermo ha risposto, marciando dietro al grande striscione che riportava il titolo dell’evento: UNITI tra NOI, UNITI per VOI, CONTRO LA MAFIA.

Il suggestivo corteo si è poi fermato davanti al teatro Massimo.
La pioggia ha imposto una veloce rivisitazione della scaletta, ma i magistrati presenti, Nino Di Matteo, Giovanbattista Tona, Marina Petruzzella, Vittorio Teresi e Gioacchino Scaduto sono riusciti comunque ad intervenire.
Inevitabile nelle loro parole il riferimento al progetto di riforma dei giudici che nulla ha a che vedere con la riforma di cui tanto avrebbe bisogno la macchina giudiziaria. Le proposte di legge in discussione al parlamento, dal cosiddetto “processo breve” ai decreti per rendere innocue le intercettazioni, alla discrezionalità dell’azione penale, sono un chiaro ed evidente tassello di un progetto eversivo che punta a lasciare impunita un’intera classe dirigente corrotta, invischiata nel malaffare, ladra e approfittatrice, che si arricchisce a dismisura sulle spalle e sui sacrifici dei cittadini che si guadagnano da vivere onestamente.

“Vogliono una magistratura pavida e burocrate” – ha spiegato Di Matteo dopo aver ringraziato di cuore gli organizzatori del convegno – “ma si rassegni chi vuole un giudice omogeneo alle maggioranze contingenti, interprete della volontà di chi governa, disancorato dalla Costituzione… noi vogliamo impersonare un modello di magistrato del tutto diverso, moderno, responsabile, professionalmente attrezzato e guidato da un faro: il principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”.

La gente applaude, sostiene, incita, ma non è solo una reazione emotiva. La maggior parte è anche informata e capisce con facilità che il processo in corso ha mire reazionarie, preme per dare potere assoluto all’esecutivo fuori da ogni controllo, come spetta invece alle funzioni della magistratura. Un equilibrio sbilanciato dei poteri che significa più di ogni altra cosa crinare le fondamenta della nostra democrazia, a favore di una casta che è già impunita, che già sguazza nei privilegi, che già si beffa dei cittadini e dei loro diritti.

Nonostante il cloroformio diffuso massivamente sulle menti italiane dall’obbrobrio televisivo, sono in molti coloro che riescono a guardare dietro le quinte di quel teatrino di plastica che è diventata la dialettica politica, imbrigliata nelle bizze del Pupazzo del Consiglio che è arrivato persino ad identificare i magistrati con le brigate rosse, proprio coloro che la violenza delle brigate rosse l’hanno pagata con la pelle.

Si gioca sull’ignoranza di tanti. Ma i meno, che comunque pochi non sono più, non sono disposti a dimenticare che l’anticamera dell’omicidio eccellente, del magistrato per esempio, è proprio l’isolamento, la delegittimazione, la denigrazione… questi sono segnali che potrebbero risultare agli occhi dei mafiosi ancora armati fino ai denti come il via libera ad una nuova stagione di sangue. Secondo il copione della nostra storia, ogni qualvolta il nostro Paese viene attraversato da momenti di crisi che aprono a possibili cambi di scenario ecco che scatta la violenza. E in questo momento il bersaglio è così messo a fuoco che sarebbe da stolti far finta di non vederlo.

Per questa ragione assume tanta importanza tutto l’evento di sabato. Corteo, canti, slogan, applausi, domande… “Cordone umano e libero cammino, scudo e scorta civile dei nostri magistrati”, come recita il documento di apertura del dibattito è il segno che qualcosa è già cambiato, non tanto nei gesti in sé, ma nella cultura e nel pensiero, soprattutto dei tanti tantissimi giovani che sentono chiaro e forte il fresco profumo della libertà.
Aveva ragione Paolo Borsellino. Ucciderlo non è bastato.






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- © Danila D'Amico

 
 
 

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