Sequestri continui a Palermo, Catania e Siracusa: armi nei tombini, nei controsoffitti e persino in mano ai minorenni
Kalashnikov, pistole semiautomatiche, fucili a pompa e munizioni nascosti dietro una finta parete, scoperti dopo l’arresto di un latitante a Lentini, nel Siracusano. A Catania, invece, nel rione Librino, i carabinieri hanno trovato in un tombino un fucile mitragliatore M53 calibro 7.9 e 94 cartucce, di cui 47 per l’alimentazione a nastro. A Palermo, la Polizia di Stato ha tratto in arresto due giovani, rispettivamente di 22 e 14 anni, sorpresi in possesso di armi e munizioni. Nel quartiere Brancaccio, sempre a Palermo, due palermitani sono stati arrestati con l’accusa di detenzione di armi clandestine, munizionamento illegale e sostanze stupefacenti ai fini di spaccio: all’interno delle abitazioni e di altri locali a loro disposizione sono stati sequestrati un fucile a pompa carico con matricola abrasa, due pistole revolver con matricola abrasa, un fucile ad aria compressa, due mazze ferrate, 217 cartucce di vario calibro e oltre cento dosi tra cocaina e hashish.
Questi sono solo una piccolissima parte dei sequestri di armi effettuati negli ultimi mesi tra Catania, Siracusa e Palermo. Si potrebbe andare avanti ancora a lungo, limitandosi a elencare le operazioni più recenti che hanno coinvolto anche Messina, Trapani e diverse zone del Catanese. Una situazione che conferma l’esistenza di stoccaggi in numerose aree dell’isola, al punto da trasformare la Sicilia in una vera e propria polveriera in mezzo al mare.
Intanto, con l’ultimo blitz delle forze dell’ordine scattato all’alba di questa mattina nei quartieri Zen 1 e Zen 2 di Palermo, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, con un ingente dispiegamento di mezzi e personale nell’ambito dell’operazione “ad alto impatto”, stanno monitorando il territorio alla ricerca di armi e droga. Non si esclude nulla e nessuno: dai soggetti già noti alle forze dell’ordine e sottoposti a misure di prevenzione e sicurezza, fino ai controlli sulle attività commerciali.
Giovani e molto pericolosi
Del resto, anche gli episodi di estrema violenza parlano chiaro. L’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto poche ore fa a Capizzi, piccolo centro dei Nebrodi in provincia di Messina: a perdere la vita è stato Giuseppe Di Dio, di soli sedici anni. Ucciso per errore da un colpo di pistola che lo ha raggiunto al collo senza lasciargli scampo.
Sempre di recente, un ragazzino di appena quattordici anni è stato fermato con due pistole nascoste nel bauletto di un motorino elettrico. Una semiautomatica e un revolver, entrambi modelli Bruni, con cartucce esplose. In pratica, l’ennesima conferma di come questa realtà finisca per coinvolgere i più giovani, a volte come vittime, altre come protagonisti armati pronti a colpire. Ad ogni modo, la maggior parte delle pistole in circolazione è spesso rubata, con matricola abrasa e messa in vendita per poche centinaia di euro. Altre volte si tratta di armi a salve trasformate in strumenti letali, modificate da mani esperte che operano nell’ombra, perfettamente consapevoli che un’arma alterata può anche esplodere in faccia a chi preme il grilletto. 
Blitz delle forze dell'ordine allo Zen
Tutto questo è possibile anche grazie a un mercato nero enorme e ben consolidato, talmente vasto da poter celare i soliti nomi e i soliti luoghi che immancabilmente emergono durante le indagini. Come il Villaggio Santa Rosalia, dove, secondo la Procura, un uomo avrebbe acquistato pistole da destinare a Salvatore “Sal” Catalano, storico boss legato ai traffici di droga della cosiddetta “Pizza Connection”. Poi c’è Ciaculli, quartiere già segnato dalla mafia, dove i finanzieri hanno trovato un arsenale nascosto in un controsoffitto: revolver, semiautomatiche, silenziatori e oltre 1.400 munizioni. E’ proprio lì che Antonino Adelfio aveva perfino allestito un laboratorio per modificare le armi. Il giro è ampio e non risparmia nemmeno gli insospettabili: un’ex guardia giurata, per esempio, è stata arrestata dopo aver simulato il furto di decine di armi che in realtà rivendeva a mafiosi, spacciatori e criminali comuni.
La scia di sangue che ne consegue parla chiaro: gli omicidi di Monreale, le vittime come Giancarlo Romano, Lino Celesia e Paolo Taormina, le sparatorie alla Marinella, allo Zen e in via La Lumia non sono altro che il risultato più feroce e preoccupante della facilità con cui si possono ottenere armi in molte aree della Sicilia.
Le armi perse a Kiev, dove saranno mai finite?
E se in Sicilia sembra profilarsi una vera e propria emergenza a causa delle armi che si trovano, in Ucraina l’emergenza riguarda invece quelle che si perdono, con più di mezzo milione di armi di cui si sono perse le tracce dall’inizio del conflitto.
A commento di quanto sta avvenendo a Kiev è intervenuto anche Vincenzo Musacchio, criminologo, docente al RIACS di Newark, da tempo impegnato nella lotta alle mafie.
Per Musacchio - intervistato dai microfoni di “Rai News” - ciò che sta accadendo in Ucraina sul fronte del traffico d’armi rappresenta “una vera catastrofe senza precedenti”. In tre anni di guerra, precisa, “mancano all’appello quasi 500 mila armi da fuoco”, tra cui fucili d’assalto, armi di precisione e pistole automatiche. Un vero e proprio patrimonio bellico inghiottito dalla bulimia del mercato nero, dove a prosperare sono le mafie, sia locali che internazionali: “Gestiscono il mercato nero vendendo al miglior offerente armi capaci di far saltare in aria persino i blindati”.
Il criminologo ha poi ricordato come non sia la prima volta che le organizzazioni criminali approfittano del caos bellico: “La storia, purtroppo, si ripete”, ha sottolineato ricordando l’ex Jugoslavia, quando la fine del conflitto lasciò in circolazione un’enorme quantità di armi che furono immediatamente intercettate dalle mafie. Armi che, ancora oggi, compaiono in mano alla “‘Ndrangheta o alla mafia pugliese”.
Per Musacchio, il nodo principale è la mancanza di tracciabilità: “A oggi nessuno si è preoccupato di tracciare le armi che sono state inviate e s’inviano tuttora all’Ucraina”. Parliamo di un vuoto enorme, spaventoso, che alimenta costantemente le reti criminali e terroristiche. E infatti, sia Europol che Eurojust avevano già lanciato l’allarme nel 2022, segnalando il rischio di dispersione di esplosivi, granate, fucili d’assalto e mine anticarro nei circuiti clandestini.
Le mafie - ha aggiunto Musacchio - non si limitano a fare incetta di armi per uso interno: “Le utilizzano anche come merce di scambio” e come strumento di potere. Soprattutto quando la corruzione non basta più, l’arsenale militare può diventare una moneta di intimidazione e un investimento per rafforzare traffici paralleli, come quello del narcotraffico - di cui la ’Ndrangheta è la regina - fino ai sistemi corruttivi e affaristici. 
Il rischio immediato, ovviamente, riguarda l’Europa: “Questo flusso andrà a riempire gli arsenali di diverse organizzazioni criminali, tra cui le mafie italiane, prima fra tutte la ‘Ndrangheta”. Ancora una volta i precedenti non mancano: lanciarazzi di fabbricazione serba o Kalashnikov sequestrati negli anni passati raccontano di un ponte ormai consolidato tra Balcani e cosche italiane. Un ponte che oggi rischia soltanto di allargarsi. “Il volume di denaro che ruota intorno a questo segmento militare - ha ricordato Musacchio - ammonta a quasi 150 miliardi di dollari”. E con il 60% delle armi inviate a Kiev già “sparito dai radar”, come indicato da fonti del Pentagono, il contrabbando trova terreno fertile. Ed è per far comprendere la portata del problema che Musacchio ha citato alcuni esempi: da una mitragliatrice antiaerea messa in vendita per poche migliaia di dollari al gruppo di trafficanti scoperto a Leopoli con un arsenale completo di pistole, fucili, granate e decine di migliaia di munizioni.
Insomma, il futuro preoccupa. “Ciò che ci aspetta nel prossimo futuro è sicuramente un pericolo notevole che riguarderà non solo tutta l’Europa ma anche il resto del mondo”. Un errore imperdonabile di cui c’era da aspettarsi le conseguenze. Oltre a Europol ed Eurojust, anche l’attuale procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, ha più volte lanciato l’allarme fin dai primissimi momenti del conflitto in Ucraina.
Già a novembre del 2022, Gratteri metteva in guardia sul rischio che il conflitto in corso a Kiev si trasformasse in un enorme mercato legato alla guerra e alla ricostruzione: armi, sfruttamento, traffici di esseri umani, edilizia, fondi europei. Perché dove c’è disperazione, le mafie vedono sempre possibilità di guadagno. “Oggi - spiegavano Gratteri e Antonio Nicaso, coautori di diversi libri - organizzazioni mafiose come la ‘Ndrangheta vanno continuamente alla ricerca di nuovi mercati e, pensando alla fine del conflitto russo-ucraino, sognano di rovistare tra le macerie della guerra in corso come tanti sciacalli”.
Anche Gratteri e Nicaso, come oggi ha fatto anche il criminologo Vincenzo Musacchio, hanno ricordato il caso dell’ex Jugoslavia, dove le armi finirono a basso costo nei depositi di clan serbo-montenegrini e albanesi, per poi essere rivendute a ‘Ndrangheta e Camorra.
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