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Piersanti Mattarella stava portando avanti una politica di profondo rinnovamento; sia spezzando il legame fra Cosa nostra e la politica sia - a livello nazionale - facendo "pulizia" all'interno della Democrazia Cristiana.
In particolare nel 1976 Mattarella voleva aprirsi al Partito Comunista Italiano, come aveva già fatto Aldo Moro. In definitiva, così concluse la Corte d'Assise d'appello di Palermo: “Sia l'incisiva attività amministrativa del Mattarella, sia il notevole peso politico dal medesimo acquisito, sia, infine, il pregiudizio dal medesimo arrecato a centri di interesse extraistituzionali - ciascuno di essi causa sufficiente per decretarne la morte - hanno contribuito, confluendo verso un unico centro direzionale, politico, affaristico-mafioso, a causare la morte della vittima".
Ad oggi sono molteplici le piste investigative attualmente aperte dalla Procura di Palermo per l’omicidio del Presidente della regione siciliana.
Quella mafiosa: attualmente sono sotto la lente degli investigatori Giuseppe Lucchese e Nino Madonia, accusati di essere stati i killer. Sono nomi che i cronisti di Palermo ricordano molto bene: Lucchese, della famiglia Ciaculli, e Madonia figlio di don Ciccio, rampollo della famiglia di Resuttana, una delle più potenti della città.
Entrati a far parte del “gotha” di Cosa nostra all’inizio degli anni ’70, i Madonia si affermano nella zona di Resuttana dopo la prima guerra di mafia, durante la quale furono interessate le zone di San Lorenzo e Acquasanta. 
E poi c’è la pista legata all’eversione di destra: il 30 agosto 2017 infatti “la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo aveva indicato alcune nuove possibili investigazioni da compiere sugli eventuali legami tra l'omicidio del Presidente Mattarella e le attività dei N.A.R. (Nuclei Armati Rivoluzionari)”, come si legge nell’ordinanza di custodia firmata dal gip Antonella Consiglio con cui sono stati disposti gli arresti domiciliari a carico di Filippo Piritore, ex prefetto accusato di depistaggio.
Inoltre il 15 gennaio 2018, la Procura Generale presso la Corte d'appello di Bologna trasmetteva ai magistrati di Palermo un atto “di opposizione” dall'Associazione familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Con il documento l’associazione si oppose alla “richiesta di archiviazione avanzata il 7 marzo 2017 dalla Procura della Repubblica di Bologna, poiché contenente taluni spunti di riflessione circa la possibile correlazione tra l'omicidio Mattarella e la strage di Bologna”.
Partiamo da un dato: già in passato, durante il processo per il delitto Mattarella, venne accettata "in modo assolutamente certo e incontrastabile" i rapporti fra Cosa nostra e i terroristi neri sia prima che dopo il 1980.
Dato ulteriormente accertato “nel corso dell'istruttoria, svoltasi dinanzi alla Corte d'Appello di Firenze, per la Strage del Rapido 904 del 23 dicembre 1984, all'esito della quale Pippo Calò venne condannato all'ergastolo e ritenuto elemento di collegamento fra l'associazione mafiosa e gli ambienti eversivi di estrema destra, che si realizzavano per mezzo degli appartenenti alla Banda della Magliana, operativa a Roma ove il Calò risiedeva”.
Non è un dato nuovo quindi.
Anche lo stesso giudice Giovanni Falcone era convinto che dietro al delitto ci fosse un intreccio fra mafia e destra eversiva: “E’ quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura ‘la pista nera’ sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani” disse il magistrato nella seduta del 3 novembre 1988 della Commissione Parlamentare Antimafia.
Ci furono dei processi ma gli imputati di allora, Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, vennero assolti in tutti e tre i gradi di giudizio, quindi non più processabili. Entrambi stati condannati in via definitiva per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto del 1980 e per l’omicidio del giudice Mario Amato, avvenuto a Roma il 23 giugno 1980.
L'assoluzione in primo grado nel 1995 scaturisce dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Marino Mannoia, i quali assicuravano che i killer erano uomini di Cosa Nostra, senza tuttavia saperli identificare. Fioravanti e Cavallini erano stati processati in base alle accuse rivolte da Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, che li indicava come autori dell'agguato; la testimonianza della moglie di Piersanti Mattarella, Irma Chiazzese,  che vide in faccia il killer e ne descrisse l'andatura ballonzolante di Fioravanti; era "un uomo che indossava una giacca a vento leggera con cappuccio di colore celeste chiaro (tipo piumino o K-way), dall'apparente età di 20-25 anni, alto circa 1,65/1,70 metri, con corporatura robusta, il viso rotondo, i capelli castano-chiari sul biondo, gli occhi piccoli e chiari, di carnagione rosea, senza barba né baffi e con una espressione particolare sul volto, definita come una sorta di ghigno".
Negativi anche le comparazioni delle munizioni: i bossoli rinvenuti il 6 gennaio 1980 accanto al corpo di Mattarella vennero comparati con i reperti balistici degli omicidi del giudice Mario Amato e della guardia giurata Erminio Carloni (Milano 18 novembre 1982).
Il 31 maggio 2019 il R.I.S. dei Carabinieri di Roma concludeva con esito certo e negativo per Carloni (nessuna ‘correlazione balistica’) per l’omicidio del dottor Amato l’esito era di “generica compatibilità”. 

Foto © Archivio Letizia Battaglia  

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