La giornalista del Corriere, già conduttrice di Report, ai microfoni del Fatto: “Serve consapevolezza, non solo emozione”
Anche Milena Gabanelli, storica conduttrice di Report, sarà oggi tra le voci che si uniranno idealmente alla manifestazione delle 17.30 in piazza Santi Apostoli a Roma, promossa dal Movimento 5 Stelle per esprimere solidarietà a Sigfrido Ranucci, dopo l’attentato esplosivo alla sua auto avvenuto giovedì sera. Un gesto che ha sconvolto il mondo del giornalismo e che in poche ore si è trasformato in una chiamata alla società civile per difendere la libertà e l’indipendenza dell’informazione.
In piazza, insieme a lei, ci saranno Marco Travaglio, Rula Jebreal, Francesco Cancellato, Riccardo Iacona, Attilio Bolzoni, Lirio Abbate, Andrea Scanzi, oltre a figure istituzionali come Federico Cafiero de Raho, Roberto Scarpinato e Barbara Floridia, e rappresentanti di associazioni come Transparency International Italia, Articolo 21 e Rete No Bavaglio.
Sulle colonne del Fatto Quotidiano, Gabanelli riflette sul significato di questa mobilitazione e sullo stato del giornalismo d’inchiesta in Italia. “Mi aspetto che ci sia tanta gente, ma soprattutto consapevolezza. Il mio timore è che sull’onda emotiva si facciano manifestazioni anche importanti, ma che domani tutto venga dimenticato. Spero che non finisca come il Giorno della Memoria o la Giornata della Fame nel Mondo”, osserva con la lucidità che da sempre la contraddistingue.
Quando ha saputo dell’attentato contro Ranucci, racconta di essere a casa, la sera: “Stavo bevendo un caffè… mi è andato di traverso”. Poi aggiunge: “È terribile, non succedeva da trent’anni”. Per la giornalista, il clima attorno al giornalismo d’inchiesta “è lo stesso di sempre, solo più polarizzato”. E spiega che negli ultimi anni è cambiata soprattutto la percezione di cosa significhi fare un’inchiesta: “Oggi si chiama inchiesta anche un racconto di cronaca”.
Gabanelli, che nel corso della sua carriera è stata spesso bersaglio di attacchi e pressioni, non ama definirsi una vittima. “Fortunatamente nessuno mi ha mai messo una bomba davanti alla porta di casa; quindi, non ritengo di aver ‘pagato di persona’. Ho rischiato di pagare di tasca mia, questo sì, per diversi anni, visto che non avevamo tutela legale. Quanto alla paura, ne ho provata parecchia, ma non nel senso di temere che qualcuno volesse farmi la pelle”.
Un mestiere che lascia inevitabilmente segni profondi. “Sei sempre preso, sempre concentrato sul lavoro, quindi sottrai tempo e attenzione a te stesso e alla tua famiglia. Ma è un mestiere che ho scelto, e che mi ha dato tante soddisfazioni, insieme a diverse frustrazioni”.
Ripensando ai suoi anni in Rai, racconta che il momento di maggiore ostilità lo visse nel 1994, quando insieme a Giovanni Minoli propose il modello del videogiornalismo: “I sindacati Rai si scatenarono contro di noi. Non ho mai sentito invece l’isolamento, perché mi sono autoisolata di proposito, per essere più libera e avere meno condizionamenti. Non ho mai avuto frequentazioni politiche o di potere”.
Alla domanda su perché nella Tv pubblica sia rimasto quasi solo Report a portare avanti un vero lavoro d’inchiesta, risponde con la consueta schiettezza: “Perché è faticoso tenere il punto”.
E quando le si fa notare che oggi molti politici esprimono solidarietà ma fino a ieri minacciavano querele, la risposta è tagliente: “Torneranno domani ad agitare carote e querele. Sono fatti così, cavalcano il momento”.
Per Gabanelli, il vero collante di Report non è solo la professionalità, ma la passione. “Intimidire Sigfrido vuol dire intimidire tutta la squadra, ma quello che ci tiene uniti è la passione”, dice.
La manifestazione di oggi, sottolinea, deve essere più di un gesto simbolico: “Deve lanciare un messaggio alla politica. C’è bisogno di un’informazione approfondita e verificata. Portare alla luce il malaffare è nell’interesse dei governi. Se poi il malaffare è organizzato dai governi… be’, ci sono ancora giornalisti capaci di dimostrarlo”.
E conclude con un appello che va oltre la contingenza del momento: “Serve educazione, nel senso scolastico del termine. Educazione a distinguere la propaganda dalle fake news, a riconoscere una notizia da una balla. Oggi la grande frustrazione è che non siamo quasi mai considerati indipendenti: l’utente ti vede sempre come portatore di interessi di qualcuno. I social hanno fatto terra bruciata, e la nostra categoria, in quanto a perdita di reputazione, ci ha messo del suo”.
Parole che, come spesso accade quando parla Milena Gabanelli, non sono solo una riflessione ma un monito: difendere l’informazione libera non è un atto di solidarietà passeggera, ma un dovere civile che riguarda tutti. In primis la politica che spesso – specie questo governo – invece la delegittima.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Foto © Imagoeconomica
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