Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il procuratore: “Questi server sono all’estero, così i nostri dati possono essere letti da DEA o FBI” 

In Italia la nostra rete informatica è come gli acquedotti, piena di buchi”. A pronunciare l’affondo è il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, intervenuto davanti alla platea della terza tappa di “Disclaimer”, il viaggio del Corriere della Sera e del consorzio Cineca attraverso gli atenei italiani per discutere uno dei temi più urgenti del nostro tempo: l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla giustizia, sulla sicurezza e, in ultima analisi, sulla democrazia.

Durante l’incontro che si è svolto all’Università Federico II di Napoli, Gratteri ha parlato con la concretezza di chi ogni giorno si misura con la realtà delle indagini e con la fragilità delle strutture dello Stato. “Non possiamo comprare computer di terza mano da Consip - ha osservato -. Sono macchine che può bucare anche un ragazzino di seconda elementare”. E aggiunge: “Servono computer potenti e spero che il governo abbia la sensibilità di capire che è arrivato il momento di investire davvero nella sicurezza digitale”.

Oltretutto, va anche considerato che le organizzazioni criminali continuano a fare grandi passi avanti in termini di tecnologia e di utilizzo degli strumenti digitali per portare avanti attività illegali, anche e soprattutto su larga scala. Senza escludere nemmeno i reati che più spesso colpiscono i cittadini più deboli, come gli anziani. Grazie all’intelligenza artificiale, le organizzazioni criminali sono ormai in grado di produrre, in meno di un’ora, videochiamate false ma indistinguibili dalla realtà: strumenti perfetti per truffe, ricatti e disinformazione.

Ad ogni modo, a prescindere dal tipo di reato, una cosa è certa - e Gratteri lo ha precisato con chiarezza -: l’intelligenza artificiale non è solo una questione di efficienza investigativa, ma di equità del giudizio. Se la criminalità può usare algoritmi per ottimizzare le rotte del traffico di droga o per nascondere il denaro illecito nei flussi digitali, lo Stato non può limitarsi a inseguire. Deve attrezzarsi per combattere “ad armi pari”, senza lasciare che la differenza tecnologica si trasformi in una forma di ingiustizia.

L’intelligenza artificiale - ha sottolineato Gratteri - non è un nemico, ma uno strumento che va compreso e governato. È necessaria, perché altrimenti non saremmo competitivi. Gli avvocati la usano e la useranno sempre di più, e anche noi magistrati dobbiamo imparare a sfruttarla”. Tuttavia, avverte il procuratore, c’è un problema di fondo: la sovranità dei dati. “Questi server si trovano all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, dove una legge consente alla polizia giudiziaria americana di accedere a qualsiasi memoria custodita sul loro territorio. Questo significa che i nostri dati potrebbero essere letti anche dalla DEA o dall’FBI. Serve regolamentare, capire chi controlla e chi utilizza queste informazioni”.

Anche il prefetto Bruno Frattasi, direttore generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, ha ripreso il concetto parlando di “privacy di Stato”. Il suo monito è chiaro: “Se acquistiamo tecnologia statunitense, dove vanno a finire i nostri dati?”. A oggi - ha ricordato Frattasi - la capacità computazionale del Ministero della Giustizia è affidata a un provider americano, una dipendenza che rappresenta una falla strategica. “Noi europei - ha detto - scontiamo un ritardo tecnologico decennale nei confronti di Stati Uniti e Cina. Per colmarlo dobbiamo investire in innovazione made in Europe, costruendo un’infrastruttura autonoma e sicura”.

Anche i numeri confermano la gravità della situazione. Come ha spiegato Fabio Cappelli, esperto di cybersecurity di EY Italia, dal Covid in poi gli attacchi informatici nel nostro Paese sono cresciuti del 120% ogni anno, colpendo aziende, enti pubblici, università e persino ospedali. I fondi del PNRR - oltre seicento milioni destinati alla sicurezza digitale - stanno aiutando a rafforzare le difese, ma l’Italia resta vulnerabile.

Oggi nella nostra Agenzia per la Cybersicurezza lavorano circa 400 persone - ha ricordato Bruno Frattasi - mentre in Francia o Germania ne operano più di 1.300”. A confermarlo è anche Elisa Zambito Marsala, di Intesa Sanpaolo: “Accanto alle competenze tecniche servono capacità di lettura dei contesti, pensiero critico e consapevolezza dei rischi digitali”. 

ARTICOLI CORRELATI

Gratteri: ''Le mafie iniziano a interessarsi all’intelligenza artificiale''

Processo al clan Moccia, Gratteri in aula accende il dibattito: ''Bisogna lavorare fino a sera''

''Lezioni di mafie'': Gratteri come Manzi, ora gli italiani studiano l'antimafia in TV

 

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos