Il 16 marzo 1978 era nel commando che in via Fani sequestrò Aldo Moro e uccise cinque uomini della scorta
È morto all’età di 71 anni Raffaele Fiore, protagonista dell’ascesa criminale delle Brigate Rosse, fino a diventarne leader della colonna torinese. Fiore porta con sé nella tomba, dunque, una delle storie più violente e simboliche che ha caratterizzato gli anni Settanta.
Nato e cresciuto in condizioni di povertà a Bari Vecchia, Fiore si trasferì al Nord per lavorare in fabbrica, come tanti meridionali che, già in quegli anni, cercavano un futuro migliore. Alla Breda di Sesto San Giovanni entrò in contatto con l’attivismo sindacale e con ambienti della sinistra rivoluzionaria: giovani operai, animati da un’ideologia estrema che sognavano di rovesciare lo Stato borghese con le armi. Fu proprio in questo contesto che Fiore decise di abbracciare la “lotta armata”, dicendo sì alle Brigate Rosse.
Il nome di Raffaele Fiore resta, infatti, legato in maniera indissolubile all’agguato contro Carlo Casalegno, vicedirettore del quotidiano La Stampa, avvenuto il 16 novembre 1977. A sparare contro Casalegno fu proprio Fiore, che lo colpì alla testa con una pistola silenziata. Casalegno morì dopo tredici lunghi giorni di agonia. In sostanza, la sua “colpa” era quella di aver scritto un articolo in cui sosteneva che lo Stato non avesse bisogno di nuove leggi speciali contro il terrorismo, ma solo di applicare quelle già esistenti. Ad ogni modo, il delitto Casalegno non fu l’unico a cui partecipò Fiore. La sua figura rientra, infatti, anche nel rapimento di Aldo Moro, il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, dove un commando delle Brigate Rosse uccise cinque uomini della scorta e rapì il presidente della Democrazia Cristiana. Fiore era tra gli assalitori, travestito con una divisa da aviatore. Prima ancora, aveva preso parte a un altro omicidio simbolico: quello dell’avvocato Fulvio Croce, presidente dell’Ordine degli Avvocati, colpito per aver accettato di difendere gli imputati nel processo contro le stesse Brigate Rosse. La “carriera” terroristica di Fiore si concluse nel 1979, in un bar di Torino, dove venne arrestato. Condannato all’ergastolo, trascorse 18 anni in prigione. Non si è mai pentito, né si è mai dissociato dalla realtà in cui ha operato. Nel 1997 ottenne la libertà condizionale, grazie alla quale riuscì anche a trovare lavoro presso una cooperativa sociale a Sarmato, in provincia di Piacenza. Negli ultimi anni, Fiore era stato convocato come testimone in un processo legato a un altro episodio delle Brigate Rosse, quello di Cascina Spiotta, ma a quel processo non si è mai presentato. Alcuni avvocati avevano espresso il timore che, a causa dei continui rinvii, testimoni fondamentali potessero morire prima di poter deporre. E, nel caso di Raffaele Fiore, è esattamente ciò che è accaduto.
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