L’amarezza dell’ex pm alla presentazione del suo ultimo libro a Palermo: “Dell’Utri e Cuffaro continuano a pilotare la politica nella nostra terra”
“Diceva Leonardo Sciascia che il vero assassino non è quello che spara ma quello che indica. E spesso chi indica è qualcuno che sta dalla tua stessa parte”. Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo, oggi avvocato, rievoca il celebre scrittore siciliano per riassumere in poche parole la storia dei grandi uomini caduti combattendo la mafia. Una storia “soprattutto di grandi tradimenti”, scrive Ingroia nel suo ultimo libro “Traditi. Le mie verità sui misteri di Palermo e sulla magistratura” (Piemme Edizioni), presentato ieri al Mercato San Lorenzo insieme al deputato dell’Ars Ismaele La Vardera e al caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari (moderatore dell’incontro).
Aaron Pettinari
Il volume altro non è che un dialogo appassionato con il conduttore Rai Massimo Giletti, in cui l’autore racconta gli anni passati al palazzo di Giustizia di Palermo (“non a caso chiamato Palazzo dei Veleni”, commenta) ma anche quelli successivi alla toga, da politico-amministratore siciliano. Un memoriale - o forse più un j’accuse - del passato dove Ingroia denuncia quel sistema di potere che isolò e “mascariò” prima Falcone e Borsellino. E poi lui stesso, costretto ad abbandonare la magistratura dopo il conflitto di attribuzione sollevato dall’ex presidente Giorgio Napolitano per la vicenda delle intercettazioni con Nicola Mancino nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. “Questo libro vuole spiegare che Falcone e Borsellino sono morti perché sono stati traditi - afferma -. Come mosche bianche in un mondo di mosche nere”. Ma se ci sono dei traditi vuol dire che ci sono dei traditori, osserva Aaron Pettinari. E di traditori ce ne sono assai. Antonio Ingroia li elenca uno ad uno. Sono amici, colleghi, politici, investigatori.
Traditore è, anzitutto, “lo Stato nelle sue varie articolazioni”. Il libro è infatti un’amara analisi dei trentatré anni che ci separano dalle stragi, e arriva in un momento politico-sociale terribile che vede una riscrittura completa delle verità e delle responsabilità, gravi, emerse sulle stragi. “Falcone e Borsellino sono stati traditi in vita e poi post-mortem”, denuncia. Da chi? Sicuramente da coloro con cui “lavoravano fianco a fianco” come Giovanni Tinebra, ex procuratore capo di Caltanissetta, o il magistrato Vincenzo Geraci, ovvero quel “giuda” - ricorda Ingroia - a cui un Borsellino furibondo e desolato per la recentissima morte di Falcone fece riferimento (senza nominarlo) nella famosa conferenza a Casa Professa. Il primo, il cui nome è tornato alla ribalta di recente con le perquisizioni del Ros coordinati dai pm nisseni, fu l’artefice, spiega l’avvocato, insieme ad Arnaldo La Barbera del depistaggio delle indagini su via d’Amelio. Il secondo, che “Ingroia ricorda come referente di Borsellino al Csm”, era uno dei consiglieri che nel 1988 bocciarono la nomina di Falcone a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. “Il tradimento è un fil noir che attraversa il libro”, dice Ingroia. Un “fil noir” che arriva fino ad oggi con una regione Sicilia “governata da due uomini condannati in via definitiva per fatti di mafia, Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro”.
“Questi due continuano oggi a pilotare la politica nella nostra terra”, afferma. “Ecco perché dico che purtroppo non sono soltanto i politici i magistrati e gli uomini delle istituzioni ad aver tradito Falcone e Borsellino. Sono anche i siciliani. E lo dico con amarezza. Vogliamo ricordare la povera Rita Borsellino, candidata alla presidenza della Regione, che viene battuta da Totò Cuffaro? Vogliamo ricordare che dopo trent’anni abbiamo gli stessi uomini? Cosa c’è di peggiore del tradimento dei valori, dei modelli e dei principi che animavano questi uomini che sono arrivati all’estremo sacrificio?”.
Ismaele La Vardera
All’Ars il teatro dell’assurdo
Dello stesso parere è anche Ismaele La Vardera che prendendo parola esordisce chiedendo scusa “da uomo delle istituzioni e da membro del parlamento Siciliano”, perché “il primo tradito di questa storia sei stato proprio tu - dice rivolgendosi all’ex pm - perché ritengo che quella Regione che hai servito in una parentesi della tua vita ti abbia dato un bel servito che non meritavi”. Il riferimento è al processo per peculato (conclusosi con assoluzione piena) contro l’avvocato per la vicenda legata a Sicilia e-Servizi, società di cui Ingroia era amministratore. L’ennesimo tradimento, questa volta per mano della politica ma anche per mano del suo vecchio ufficio di procura che lo indagò ingiustamente. “Quello che stiamo assistendo oggi è un teatro dell’assurdo dentro quel parlamento siciliano in cui ci fregiamo di essere chiamati onorevoli, ma tecnicamente di onorevole sta accadendo il contrario”, dice La Vardera riferendosi alla recente notizia sul presidente dell’Ars Gaetano Galvagno finito sotto inchiesta per corruzione.
“La mia convinzione è che la questione morale dentro quel palazzo non ha assolutamente valore. Alla fine della partita poco conta se gli uomini del nucleo investigativo della guardia di finanza abbiano registrato delle frasi allucinanti pronunciate dall’attuale presidente del Parlamento Siciliano Gaetano Galvagno, tanto alla fine dobbiamo aspettare un eventuale rinvio a giudizio per asseverare che all’interno di quel palazzo, e lo denuncio da ormai due anni, deputati si permettono di far arrivare soldi alle associazioni in cui figurano i propri parenti”. La questione morale, di cui Ingroia parla anche nel libro, “è assolutamente pertinente”, commenta il deputato regionale. “Non possiamo semplicemente dire di aspettare le eventuali condanne, ci sono delle condotte che moralmente parlando sono ancora più pesanti dei fatti che penalmente sono rilevanti”.
In questo senso, aggiunge, “forse sono stato l’unico deputato a chiedere le dimissioni del presidente Galvagno. E sono stato additato come manettaro”. Venendo al libro, il titolo “è esemplificativo perché racconta uno spaccato di fatti accaduti 33 anni fa ma che hanno una potentissima attualità - dichiara La Vardera - perché mentre stiamo parlando si sta facendo questa specie di mostra della borsa di Paolo Borsellino nei palazzi del parlamento come se fosse un circo mediatico. Si è mostrato questo cimelio per dire che cosa? - si chiede La Vardera - quando la commissione nazionale antimafia, e lo dico da vice presidente della commissione antimafia siciliana, vuole fare fuori quei soggetti che potrebbero dare una mano alla ricerca della verità, come il dottor Scarpinato e il dottor de Raho, per il semplice fatto che certe verità è bene che questo paese non le conosca”.
Foto © Paolo Bassani
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