Ventinove anni di battaglie per la verità e la giustizia sulla strage: “Ho rotto le scatole a tutti”. Al suo posto il vice Paolo Lambertini
Polo Bolognesi, instancabile rappresentante dei familiari delle vittime della Strage di Bologna, lascia la guida dell’associazione dopo 29 lunghi anni di battaglie e resistenza civile per la verità e la giustizia. Nell’attentato, costato la vita a 85 persone quella mattina di agosto, morì anche la suocera Vincenzina Sala e il figlio Marco che aveva sei anni e rimase gravemente ferito (uno degli oltre 200 investiti dall’esplosione). Le redini dell’associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto le prese in mano nel lontano 1996 dopo la morte di Torquato Secci. Quasi trent’anni in prima linea per scoprire responsabili, mandanti e moventi di quella mattanza. Ora per Paolo Bolognesi è arrivato il momento di rallentare il passo dopo una serie di traguardi raggiunti insieme all’associazione, ultimo dei quali il processo contro il terrorista Paolo Bellini, terminato qualche giorno fa in Cassazione con la condanna definitiva per strage. Il prossimo 2 agosto ci sarà il passaggio di testimone. Al posto di Bolognesi a rappresentare l’associazione delle vittime sarà l’attuale vice Paolo Lambertini. “Continuerò ad esserci, diciamo che avrò un po’ meno impegni, ma continuerò a cercare la parte di verità che ancora manca”, dice a Repubblica. Nell’intervista il presidente dell’associazione ripercorre questi ventinove anni di lotta. “Ho rotto le scatole a tutti, da poterci scrivere un libro”, ricorda. Tra questi anche Luigi Zanda, capogruppo del Pd, “faceva colazione in un bar vicino casa mia, così ogni mattina mi appostavo per beccarlo ‘casualmente’ e fargli sempre la stessa domanda: ‘A che punto siamo con la legge sui depistaggi?’”. Il reato venne introdotto solo nell’estate del 2016, vent’anni dopo aver ricevuto la staffetta da Secci, che aveva appena fatto in tempo ad assistere alla condanna di Mambro e Fioravanti. Una prima pietra fondamentale per la verità in un clima che Paolo Bolognesi descrive come “rovente”. “Già all’epoca - ricorda - era nato il comitato degli innocentisti, a cui aderivano personaggi che agitavano lo spettro dell’errore giudiziario. C’era gente di destra e di sinistra, pseudo intellettuali pronti a pontificare senza aver mai letto una carta processuale. Era tutto funzionale a nascondere la verità, come hanno dimostrato le sentenze successive”. Erano gli anni in cui si spingeva verso la pista palestinese per depistare. “Dopo le condanne di Fioravanti e Mambro si attivarono i depistatori. Dicevano che avrebbero fatto riaprire il processo portando una marea di prove. Come è finita? Non hanno neppure presentato la richiesta revisione, era il solito bluff”. I depistaggi su Bologna furono numerosi e frequenti (le sentenze del processo Bellini spiegano chiaramente che il primo depistatore fu Ligio Gelli e i suoi fedelissimi della P2). “Infatti, gli attacchi alla sentenza continuarono, ad esempio con la commissione parlamentare d’inchiesta Mitrokhin. Poi nel 2007 arrivò anche la Cassazione su Gilberto Cavallini, e a quel punto le sentenze erano due”. I depistaggi si sommavano, spiega Bolognesi, alle delegittimazioni. Come è sempre avvenuto in tutte le stragi della Prima Repubblica. Il presidente dell’associazione fu attaccato quando nel 2013 si candidò con il Partito Democratico. “I soliti veleni”, commenta. “Prima di candidarmi mi presentai dimissionario all’associazione, mi invitarono ad andare avanti perché era un’opportunità per tutti. Basti pensare alla legge che oggi punisce i depistaggi. Non fu semplice approvarla ma ci siamo riusciti e ora ne beneficiano tutti”. Quindi la svolta “con la digitalizzazione degli atti istruttori”. Un oceano di carte che diventarono facilmente accessibili con pochi click. Un lavoro enorme. “Parliamo di 350 mila pagine iniziali grazie alle quali i nostri legali hanno potuto fare nuove ricerche e depositare le memorie che hanno consentito di portare a processo Gilberto Cavallini e Paolo Bellini e di scoprire finanziatori e organizzatori della strage. Ora ci sono sentenze illuminanti da questo punto di vista perché dimostrano i legami tra fascisti, piduisti e servizi segreti. Solo pochi anni fa era impensabile”. Determinante fu poi il contributo della procura generale di Bologna. “La procura aveva chiesto il rinvio a giudizio di Cavallini, ma l’archiviazione della parte che riguardava i mandanti. La decisione dell’allora procuratore Giuseppe Amato rischiava di affossare l’indagine. Poi però intervenne la Procura generale con l’avocazione dell’inchiesta e successivamente arrivò la richiesta di rinvio a giudizio di Bellini. Ecco, lì ho capito che era la strada giusta”. Con Amato in un certo momento volarono stracci. “Non m’importa, gli dissi che i familiari delle vittime andavano rispettate e lui non lo aveva fatto chiedendo di archiviare le indagini sui mandanti”. È anche grazie a quell’intransigenza che sulla strage di Bologna si è arrivati a un nuovo tassello di giustizia con la condanna di Paolo Bellini. La Cassazione avrà novanta giorni per depositare le motivazioni della sentenza. Da quelle pagine verranno accertati, in via definitiva, alcuni elementi discussi in dibattimento. Nel frattempo, il 2 agosto, ci sarà il passaggio di testimone al vertice dell’associazione dei familiari delle vittime.
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