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Strategie di contrasto, capacità investigative e conoscitive sul fenomeno mafioso ferme ancora agli anni ‘90

Non è mai accaduto nella storia parlamentare di una Commissione Antimafia che ben ventidue firmatari tra i più autorevoli rappresentanti delle famiglie colpite dalle stragi mafiose e terroristiche ne chiedessero pubblicamente lo scioglimento. 
A prescindere dal complesso iter legislativo che occorrerebbe per una simile ipotesi, siamo oggi di fronte ad una struttura organizzativa che da circa trent’anni non produce più un apprezzabile contributo costruttivo nella lotta contro le mafie. Le principali funzioni di questo indispensabile organismo antimafia nel tempo si stanno sgretolando sempre di più.
Si costituiscono con sempre maggior frequenza Commissioni che invece di indagare, orientano politicamente l’opinione pubblica. Non sembra più essere un organo investigativo ma di propaganda.
A me sembra (e lo dico senza alcuna vena polemica) che quest’organismo, di cui fecero parte grandi politici come Pio La Torre e Gerardo Chiaromonte, oggi rappresenti soltanto una assise in cui le forze di governo si occupano poco di mafia e tanto di politica.
Dalle morti di Falcone e Borsellino (salvo rarissime eccezioni) non ricordo una Commissione che abbia condotto grandi indagini e stilato grandi relazioni che abbiano fatto evolvere gli studi e le conoscenze scientifiche e pragmatiche sul fenomeno mafioso. 
Agli iniziali reboanti proclami sulla lotta alla criminalità organizzata fanno seguito poi le classiche audizioni che, purtroppo, in rari casi, apportano effettivi progressi investigativi.
Ritengo, quindi, sia giunto il momento di porre mano a una sostanziale riforma dell’organismo che porti la Commissione antimafia, a non essere più solo “parlamentare” ma a evolversi in “nazionale”, quindi in composizione mista (politici, tecnici, associazionismo civile).
La nuova Commissione dovrebbe approfondire la conoscenza del fenomeno mafioso con studi scientifici e documentazione di livello internazionale soprattutto in quelle nuove aree d’interesse che rivestono una particolare importanza nel contrasto alla criminalità organizzata transnazionale.
Dovrebbe occuparsi di individuare nuovi metodi e moderne strategie di lotta preventiva e repressiva.
Elaborare un’efficace politica criminale antimafia volta a incidere sulla capacità d’infiltrazione nel tessuto economico legale.
Pur nella varietà dei modelli di riforma possibili, credo, la nuova Commissione dovrà necessariamente tener conto di tre esigenze: 1) essere presidio statale in grado di assumere funzioni anche gestionali; 2) garantire un’adeguata partecipazione di veri esperti e di serio associazionismo civico; 3) assicurare unitarietà, organicità, indipendenza e tempestività degli interventi. In questa prospettiva, la struttura potrebbe essere articolata secondo le seguenti direttrici: a) sul piano organizzativo: il presidente dovrebbe esser munito di poteri speciali per la definizione e realizzazione degli interventi necessari per una incisiva azione antimafia; b) sul piano funzionale: il presidente dovrebbe essere obbligato a inizio mandato a presentare al Parlamento il suo piano strategico - in collaborazione con la sua struttura - ed essere poi valutato a metà e a fine mandato con possibilità di sfiducia, proprio sulla sua concreta realizzazione. Serve davvero una riforma radicale, per riportare la Commissione alla sua funzione originaria: indagare il potere, anche quello più vicino, anche quello che sempre con maggior frequenza rispetto al passato siede in Parlamento o nelle altre istituzioni pubbliche. 

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