“Hai capito cosa gli ha detto? Li ha portati nella valigia i telefonini”. È questa la frase intercettata dagli investigatori all’interno del reparto di Alta sicurezza del carcere di Prato, dove l’11 gennaio scorso è scattata una perquisizione a tappeto. Il blitz ha portato al sequestro di dieci telefoni cellulari clandestini nascosti tra le celle occupate da detenuti condannati per mafia, Camorra, ’Ndrangheta e da esponenti di spicco della criminalità organizzata albanese e cinese.
A commentare la retata sono tre detenuti napoletani, considerati i dominatori informali della sezione: “Mo aumenta il prezzo”, si lamentano, ignari di essere intercettati. Poi uno di loro, rivolgendosi probabilmente a un agente, aggiunge: “Mo il collega tuo invece di prendersi mille euro, quell'infame, si prende duemila euro”. E un altro rincara: “Quello duemila euro si prese tre telefoni, ha aumentato il prezzo”. “Appuntà a me si sono presi 5 mila euro, 2 mila euro lo pagai io”. Saranno proprio loro, una settimana più tardi, a trovare e consegnare agli agenti la microspia nascosta che li stava ascoltando in cella.
I dialoghi registrati nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Prato, guidata dal procuratore capo Luca Tescaroli, disegnano un sistema ben rodato e corrotto all’interno dell’istituto penitenziario della Dogaia, dove i telefoni arrivavano ai detenuti grazie alla complicità di alcuni agenti della polizia penitenziaria. I metodi per farli entrare erano molteplici: venivano lanciati dall’esterno con delle fionde, nascosti dentro palloni che finivano nel cortile e poi raccolti dai detenuti con maggiore libertà di movimento, oppure infilati direttamente nelle valigie mandate dai familiari.
In un episodio avvenuto lo scorso settembre, due agenti fuori servizio hanno recuperato palloni contenenti cinque smartphone e un mini-cellulare destinati a detenuti napoletani. Ma per un carico intercettato, molti altri sono andati a buon fine: nell’arco di un solo anno sono stati sequestrati quasi 40 telefoni, dieci dei quali solo nel giorno della perquisizione a sorpresa.
Secondo gli inquirenti, il punto cruciale per l’ingresso dei telefoni era il casellario, l’ufficio dove vengono aperti pacchi e plichi postali destinati ai detenuti, sotto la loro presenza. Uno dei sei agenti indagati per corruzione lavorava proprio lì, in quello che viene considerato il crocevia dei traffici illeciti all’interno del carcere. Ora gli investigatori stanno analizzando tutta la documentazione dell’ufficio, dove dovrebbero trovarsi le segnalazioni delle anomalie registrate.
Altre intercettazioni effettuate tramite telefoni già introdotti nel carcere rivelano che alcuni agenti, anche quando sorprendevano i detenuti con un telefono in mano, facevano finta di nulla. “È entrato un agente che mi doveva consegnare una lettera — dice un detenuto alla moglie —, meno male che mi sono messo sotto le coperte ma mi ha visto al cento per cento”. La moglie, preoccupata: “Non è che ti denuncia? Tu devi uscire a maggio”. E lui la rassicura: “Tanto si tratta di una denuncia a piede libero, esco lo stesso”.
“Qua possiamo parlare tranquillamente — dice un detenuto siciliano al figlio durante un colloquio — qui stiamo anche tre o quattro ore senza guardie”. Gli inquirenti stanno cercando di capire se i telefoni fossero usati esclusivamente dai singoli detenuti o se esistesse un vero e proprio mercato clandestino interno, con dispositivi dati in prestito dietro compenso. Ma l’ipotesi più inquietante è che alcuni detenuti di alto profilo li utilizzassero per continuare a dirigere i propri affari criminali anche da dietro le sbarre.
Durante il blitz ci sono stati momenti di tensione con alcuni detenuti che hanno reagito violentemente alle perquisizioni. Il giorno successivo, invece, un gruppo di una decina di reclusi del reparto Alta sicurezza ha inscenato una protesta pacifica rifiutandosi di rientrare in cella al termine della giornata.
Fonte: Il Corriere della Sera

Prato, intercettazioni shock in carcere: ''Smartphone in valigia. Qui anche 4 ore senza agenti''
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