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L’Ufficio del Massimario della Cassazione, in una relazione di 129 pagine, ha smontato il Decreto Sicurezza, tanto caro alla maggioranza di governo. La Corte sottolinea “l’evidente mancanza” dei presupposti di “straordinaria necessità ed urgenza” richiesti dalla Costituzione, poiché “nessun fatto nuovo è occorso tra la discussione alle Camere del ddl sicurezza e la scelta trasformarlo in un decreto legge dal medesimo contenuto”. Il decreto, che introduce 22 nuovi reati e aggravanti, ingloba un disegno di legge già in discussione in Parlamento, trasformato in decreto per “evitare ulteriori dilazioni al Senato”. Una scelta che si scontra con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale ha ribadito che il ricorso al decreto-legge non può fondarsi su una “apodittica enunciazione dell’esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza”.
La relazione denuncia anche la “disomogeneità” del provvedimento, che spazia da terrorismo a mafia, beni confiscati, sicurezza urbana, tutela delle forze dell’ordine, vittime dell’usura, ordinamento penitenziario, strutture per migranti e coltivazione della canapa. Questa eterogeneità rappresenta un ulteriore vizio di legittimità costituzionale. Inoltre, l’immediata entrata in vigore delle norme penali il 12 aprile 2025, senza i 15 giorni di vacatio legis, è criticata per non aver concesso ai cittadini il tempo di adeguarsi, violando standard internazionali come quelli di OSCE e ONU.

Criticità nel merito: dallo “scudo” agli 007 al carcere per le madri

Il giudizio della Cassazione è severo anche sui contenuti. La norma sullo “scudo” agli agenti sotto copertura, che consente di dirigere e organizzare associazioni terroristiche senza commettere reato, è definita “un assoluto inedito”. La relazione spiega che “la direzione e organizzazione delle predette associazioni è fenomeno ben diverso, più grave e più pericoloso rispetto alla già sperimentata possibilità di ‘infiltrazione’ – le ‘ordinarie’ operazioni sotto copertura – giustificabile al livello di mera partecipazione”. La scriminante “potrebbe apparire sproporzionata – se non addirittura disfunzionale – rispetto alle esigenze da perseguire e potrebbe suscitare dubbi di illegittimità costituzionale, nella misura in cui sembra consentire l’organizzazione e direzione di associazioni vietate ai sensi dell’articolo 18 della Costituzione”. La Cassazione chiede un’“approfondita riflessione” su questa norma, che permette agli 007 di “creare gruppi eversivi da zero” senza adeguato controllo democratico.
Sulle detenute incinte o madri di bambini sotto un anno, la relazione cita il penalista Emilio Dolcini, secondo cui il carcere per queste donne rappresenta “una patente violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia” e “di umanità della pena“, “tanto più in
considerazione delle condizioni in cui versano le carceri italiane e dei pochi posti disponibili nei soli quattro istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam)”.

Norme vaghe e rischi per il dissenso

La Cassazione evidenzia “profili problematici” su diverse norme. Le aggravanti “di luogo” per reati commessi dentro o fuori stazioni ferroviarie e metro mancano di un chiaro nesso con il principio di offensività, e il riferimento alle “immediate adiacenze” genera incertezze interpretative, come già notato dal CSM. Le aggravanti per il dissenso, applicabili nei cortei, rischiano di criminalizzare la protesta e la libera espressione. Analoghe preoccupazioni riguardano i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) e le norme penitenziarie, che potrebbero colpire la disobbedienza passiva. Sul “diritto penale d’autore”, che punisce categorie sociali come le borseggiatrici Rom per il loro status, la relazione segnala violazioni dei principi di uguaglianza e non discriminazione. Infine, la detenzione di materiale propedeutico al terrorismo anticipa eccessivamente la punibilità, criminalizzando condotte preparatorie lontane da reati concreti.

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