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Il criminologo forense: in molti hanno fatto in modo che ergessero delle verità improbabili

Era il settembre del 2021: il Tribunale di Livorno diede l’ok alla riapertura delle indagini sulla morte del maresciallo della Folgore Marco Mandolini, ufficialmente trovato morto il 13 giugno 1995 sugli scogli del Romito.
La nuova pista parla di bombe, di stragi, del periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e il 1993, di traffico di armi e di rifiuti tossici in Somalia: in una parola Gladio.
Ad oggi la famiglia è affiancata nella ricerca della verità dal criminologo Federico Carbone, dall’avvocato Dino Latini e dal fratello di Marco, Francesco Mandolini, che non ha mai gettato la spugna e che ancora oggi si batte per la verità.
I dettagli del ritrovamento del corpo sono raccapriccianti: il corpo è stato ritrovato maciullato con segni di oltre quaranta coltellate e la testa fracassata. La presenza di Mandolini su quegli scogli si era provata a spiegare ipotizzando che si trovava lì per fare un bagno. Tuttavia, come ricostruito poi da Carbone e Latini - l’abbigliamento portato dalla vittima quel giorno non era decisamente adatto, infatti Marco indossava mocassini e calzini di spugna. Il fratello, Francesco, è sempre stato convinto che Marco sia stato ucciso da un’altra parte e in seguito trasportato sulla scogliera.
Marco Mandolini si è “opposto contro questi pezzi deviati dello Stato” ha detto Carbone intervenendo durante la cerimonia di commemorazione tenutasi a Numana il sabato scorso aggiungendo che “ci sono tanti presenti tra voi che con tanto coraggio commemorano Mandolini; ma quelli che fanno rumore sono gli assenti. Sono gli stessi assenti che dinanzi alla dottoressa Elsa Iadaresta - che per prima si è occupata del caso - anziché fare cameratismo, unirsi nella ricerca della verità si sono trincerati dietro un numero di matricola e ai ‘io non so nulla non vi posso aiutare’”.Anzi hanno fatto in modo che tante verità alternative e improbabili emergessero come quella della pista passionale, perché così si usa quando si vuole demolire qualcuno che con onore ha servito lo Stato”. “È estremamente difficile - ha continuato - far comprendere quello che è stato il ruolo operativo di Marco Mandolini” ha aggiunto, spiegando di aver scoperto la storia del militare “nella città di Trapani all'interno di un'altra inchiesta, un'richiesta che conoscendo quei territori riguarda chiaramente purtroppo molto tristemente storia di mafia, ma non solo di istituzioni deviate”. 


mandolini ann 1

In Italia “abbiamo i professionisti dell'antimafia come li definiva Leonardo Sciascia, quelli che sono pronti a salire sulle passerelle per commemorare gli eroi ma quando devono realmente contribuire alle ricerche sulla verità si fanno da parte. Io non entrerò in aspetti tecnici che riguardano le indagini ma mi permetto soltanto di citare un evento: dobbiamo arrivare al 18 giugno del 1989, prima della tristemente nota strage di Capaci ci fu un tentativo di eliminare il giudice Giovanni Falcone all’Addaura, dove lui aveva preso un villino per passare le vacanze estive insieme al giudice elvetico Carla Del Ponte”.
In quel periodo Marco Mandolini faceva parte di una struttura che operava proprio nel trapanese, il centro Scorpione diretto da Vincenzo Li Causi, un agente che ha perso la vita in Somalia, amico di Marco Mandolini”. “In quei giorni vi fu un'esercitazione di questo centro militare che operava anche a livello informativo che in qualche modo ha impedito che avvenisse quell'attentato. Ecco quando parliamo di attività, quando parliamo di ricerca della verità parliamo di questo qui anche questo era Marco Mandolini rispetto all'operatività, quello che ha fatto Somalia”. In effetti il paracadutista non era un uomo qualunque: ma un incursore dei corpi speciali dell’Esercito italiano Col Moschin, sottufficiale della Folgore in forza al Sismi, il servizio segreto militare, parlava diverse lingue, tra cui l’arabo e il russo, era un addestratore esperto ma - soprattutto - era stato capo della sicurezza del generale Bruno Loi nella missione Ibis in Somalia del 1993. 

La pista investigativa

Carbone era stato il primo ad individuare questa nuova pista nel 2018 partendo, come aveva già spiegato nel settembre 2021, dai “rapporti di Marco Mandolini con il maresciallo Vincenzo Li Causi e la convinzione del paracadutista della Folgore che la morte di Licausi, del quale era amico, nascondesse misteri e verità scomode. Un fil rouge che porta allo scenario di Gladio. Del resto Mandolini faceva parte dei servizi segreti e custodiva a sua volta scomode verità, verità che aveva deciso di rivelare. Per questo è stato ucciso, qualcuno ha voluto tappargli la bocca” aveva spiegato il criminologo intervistato dal giornalista de 'Il Giornale', Gianluca Zanella.
Ricordiamo che Vincenzo Li Causi era anch’egli un maresciallo stanziato in Somalia, ucciso - sempre secondo la versione ufficiale - il 12 novembre del 1993 in un agguato. Questa vicenda è collegata a sua volta ad un altro caso mai risolto: quello del duplice omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin.


mandolini ann 2

Secondo il criminologo “i due (Marco Mandolini e Vincenzo Li Causi, ndr) si conobbero presso il campo di addestramento Gladio di Capo Marrargiu in Sardegna. Inoltre, come risulta dalla documentazione in nostro possesso, Mandolini è stato operativo presso il centro di addestramento speciale Scorpione, situato nella provincia di Trapani”. “Il capocentro della struttura - disse sempre Carbone in una lunga intervista al settimanale Visto - era appunto l’agente del Sismi Vincenzo Li Causi, il quale, come emerso nell’ambito di diversi dibattimenti, operava come in uso ai servizi, sotto diversi nomi di copertura, tra i quali quello di Maurizio Vicari. Il centro diretto da Vicari alias Li Causi, dal 1987, era collocato in un territorio ad alta densità mafiosa e la reale attività del centro è sempre stata poco chiara”.

Il ruolo della Cia

Ulteriori indagini (raccontate in un articolo de 'il Giornale' firmato da Gianluca Zanella) nello specifico si riferivano, anche, alle rivelazioni di un generale dell'esercito USA di stanza a Camp Darby, una donna vicina alla Cia, la quale aveva rivelato in via confidenziale che la famosa agenzia di spionaggio americana sapeva già con 24 ore di anticipo della morte di Marco Mandolini.
Nello specifico l’ufficiale americano avrebbe visto il 12 giugno dello stesso anno un’informativa sulla scrivania di un suo superiore in cui si annunciava la morte di un incursore italiano.
L'informazione era stata raccolta da Francesco Mandolini (fratello di Marco) e, appunto, dal criminologo Carbone il quale, intervistato sempre da 'il Giornale' aveva parlato di "un omicidio premeditato che l’intelligence Usa, in qualche modo, conoscesse già per la cooperazione con quegli stessi uomini che facevano parte di un servizio segreto in qualche modo collegato alla Nato (e anche alla Cia, se vogliamo). Del fatto che loro sapessero del disegno orchestrato. Ecco, secondo me, a cosa si riferisce la fonte. Lei vide una velina, un documento sul tavolo di un ufficiale che faceva riferimento ad un’operazione di questo tipo".
Per quale motivo la Cia era interessata alla morte di Mandolini?
Secondo Carbone la risposta "la troviamo nei comuni interessi che Italia e Stati Uniti hanno avuto in Somalia. Gli uomini che hanno compiuto l’omicidio erano probabilmente legati alle vicende del paese africano. Ed è forse per questo che gli americani si sono interessati alla vicenda".
La fonte, ricordiamo, avrebbe anche rivelato particolari inquietanti sulla strage di Capaci: “In una delle nostre conversazioni mi fece capire che anche a Capaci erano coinvolti loro. Non so in quali termini precisi, ma l’ha fatto intendere. Quando parlo di loro parlo della struttura, quindi della Cia", ha detto Carbone.
Non è la prima volta che si fa riferimento alla Cia, oppure a certi gruppi ad essa collegati che avrebbero operato sul suolo italiano: in particolare la VII Divisione del Sismi, le cosiddette Sezioni Ombra, oppure della famigerata “Sezione K”.
Le sezioni ombra, spiega il criminologo su 'il Giornale' erano "composte da membri della VII Divisione del Sismi, personale con un livello di addestramento tale da poter essere impiegato in missioni particolarmente complicate". 
Questa struttura, "esiste ed è ancora operativa. Può cambiare nome, può cambiare strategia, ma il modo di operare è sempre lo stesso. E non solo in Italia. Anche i fatti attuali potrebbero trovare, in qualche modo, delle chiavi d’interpretazione diverse rispetto a quanto si tende frettolosamente a trasmettere".
La procura, allo stato attuale, sta scavando "nei rapporti e nelle possibili frequentazioni tra Marco e gli ambienti dei servizi segreti”.

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