Ha iniziato a fare il carabiniere nel '64.
Il giorno della strage del 28 maggio 1974 arrivò sul posto con altri colleghi del nucleo: è l'ex appuntato dei Carabinieri Vittore Sandrini, presente come testimone all'udienza del 12 giugno davanti alla Corte di Assise di Brescia (presidente Roberto Spano) nell'ambito del processo sulla strage di Piazza della Loggia, che vede imputato Roberto Zorzi, considerato dai magistrati uno degli esecutori materiali della strage.
Sandrini è stato un fedelissimo dell’allora capitano Francesco Delfino, nonché personaggio ricorrente in molte testimonianze della super-teste Ombretta Giacomazzi. Molti "non ricordo" e molti vuoti hanno accompagnato l'udienza dell'ex carabiniere: Giacomazzi aveva riferito diverse circostanze legate a Sandrini, da lui puntualmente negate in aula.
Non è vero, in base a quello che ha detto o non detto, che frequentava l'appartamento in via Leardi; non è vero che aveva accompagnato Giacomazzi alla caserma di Parona, cioè quella caserma in cui avvenivano incontri tra Carabinieri (capitano Delfino) ed estremisti di destra; non è vero che aveva intimorito la super-teste affinché tenesse la bocca chiusa dopo la morte di Silvio Ferrari sui rapporti tra ordinovisti veneti e neofascisti bresciani e la obbligò per anni a depistare. E non è vero, a suo dire, che arrivò a portarla in un bosco per pregarla di tacere in merito a quello che sapeva sull'intenzione di Zorzi e di altri di vendicare la morte di Silvio Ferrari, il neofascista pagato dai Servizi, saltato in aria il 19 maggio 1974 sulla bomba che stava trasportando sulla sua Vespa.
Tutto falso, secondo lui.
Oltre a questo si sono aggiunte anche molte stranezze: Sandrini ha affermato di non aver mai conosciuto Silvio Ferrari, nonostante lui avesse fatto le indagini sulla strage di Piazza della Loggia: "Io non l’ho mai visto, Silvio Ferrari, non mi sono mai occupato della sua morte, oltre alla perquisizione in casa sua non ho mai fatto nulla".
Gli interrogatori di Ombretta Giacomazzi
La teste Giacomazzi aveva raccontato che, nel 1974, si trovava reclusa al carcere di Venezia; il capitano Delfino e Mori le fecero visita. Sarebbe stata in quell’occasione che la giovane, impaurita, assicurò il silenzio a Delfino.
Anche in questo caso Sandrini ha preso una direzione del tutto contraria: "Delfino è venuto (a Venezia) una volta con l'appuntato Mantovani per andare a pranzo". A questo punto il presidente della Corte ricorda che ci sono delle certezze in questo processo: "Noi sappiamo che nel carcere della Giudecca (a Venezia) sono entrati Vino, Trovato (i due magistrati incaricati di interrogare Giacomazzi) e Delfino, Mori, ecc...". Il teste ha continuato a ribadire che lui era l'autista dei due magistrati e che non sapeva niente di Delfino e che quest'ultimo si trovava a Venezia per andare a pranzo in un ristorante: "Guardi, lei rischia la falsa testimonianza, lo sa?"
"Ricorda di aver parlato con la Giacomazzi a Venezia?" ha chiesto il presidente. "In questo momento io non me lo ricordo" ha risposto il teste, anche se poi il verbale letto dal pubblico ministero ha confermato la cosa: "C'era sempre qualche momento, seppur breve, nel quale potevo scambiare qualche parola con la Giacomazzi prima che i magistrati iniziassero ad interrogare" ha detto il pm leggendo il verbale.
L'incontro con l'avvocato Tedeschi
Le stranezze non finiscono qui: il pm ha letto un verbale in cui si parlava di un incontro avvenuto tra il teste e l'avvocato Tedeschi.
Il legale parlava di un carabiniere biondo (per inciso, Vittore Sandrini era anche detto "il biondo", anche se lui in udienza si è definito "biondo cenere") con cui ebbe un "colloquio molto breve, anzi fu uno sfogo. Io non dissi nulla. Mi si presentò all'improvviso, molto preoccupato, quasi disperato, e mi disse" che "in caserma avvenivano cose sconcertanti; indirettamente parlò di Delfino, non lo nominò ma disse che era costretto a obbedire agli ordini, ed era evidente che stava parlando non di un qualunque ufficiale ma del suo ufficiale".
Per tutta risposta, Vittorio Sandrini ha detto: "Questa è un'invenzione" perché tutto sarebbe nato da "una battuta", ha detto il teste in aula.
Ma, stando a un appunto del generale Giraudo, che nel 2016 avvicinò Sandrini indagando sulla strage, l’appuntato scoppiò in lacrime: "Che cosa mi succede se dico la verità?".
"Solo invenzioni. Io la verità l’ho sempre detta" ha detto in aula.
Il processo riprenderà giovedì 3 luglio alle 9.30.
Foto © ACFB
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