Dopo i giornalisti spiati, ora tocca ai movimenti politici. Un’altra grana in arrivo per il governo Meloni?
Sicuramente inquietante, anche se non del tutto sorprendente, è la vicenda del giovane poliziotto dell’antiterrorismo sospettato di essersi infiltrato nel movimento politico Potere al Popolo, che promuove lotte sociali e si definisce anticapitalista e antifascista, oltre che critico nei confronti di alcune politiche dell’Unione Europea, in particolare quelle di natura bellica ed economica. La questione è giunta all’attenzione dell’opinione pubblica grazie a Fanpage, che, oltre ad aver raccontato i fatti, ha pubblicato documenti e raccolto testimonianze da parte dei militanti del movimento, i quali confermerebbero la presenza dell’agente tra le loro fila, sotto falsa identità. Il giovane poliziotto, appena ventunenne, risulterebbe in servizio presso la Direzione centrale della polizia di prevenzione, meglio conosciuta come antiterrorismo: il reparto incaricato di monitorare e prevenire eventuali minacce alla sicurezza dello Stato. Non a caso, è spesso definita “polizia politica”. Ed è proprio il sospetto che questa vicenda possa avere una matrice politica ad aver sollevato interrogativi, tanto da arrivare fino in Parlamento. Alcuni deputati del Partito Democratico e dell’Alleanza Verdi-Sinistra hanno infatti presentato interrogazioni al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, chiedendo chiarimenti sull’accaduto.
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita da Fanpage e confermata dallo stesso Potere al Popolo, “per ben dieci mesi - si legge sul sito del movimento - un giovane agente, da poco tempo giurato, ha partecipato a riunioni, manifestazioni, assemblee nazionali, volantinaggi e alla nostra vita quotidiana”. Stando alle testimonianze, il poliziotto avrebbe iniziato a frequentare il movimento nell’ottobre 2024, quando era ancora in servizio presso la Questura di Milano. Il trasferimento ufficiale all’antiterrorismo sarebbe invece avvenuto due mesi dopo, nel dicembre dello stesso anno. Un dettaglio che ha sollevato non pochi dubbi sulla reale natura della sua presenza all’interno del movimento, facendo pensare che non si trattasse di una scelta personale, ma piuttosto di un’operazione pianificata. Sempre secondo Fanpage, la polizia non avrebbe confermato l’esistenza di un’autorizzazione da parte della magistratura per un’attività di spionaggio politico. Eppure, l’agente avrebbe partecipato regolarmente ad assemblee, manifestazioni e iniziative pubbliche, arrivando persino a parlare al megafono durante alcuni cortei. Ora, la domanda che sorge spontanea è: com’è possibile che un agente dell’antiterrorismo abbia seguito per mesi un partito politico senza alcuna autorizzazione formale?
Nel tentativo di fornire una spiegazione, è emersa una versione quantomeno singolare: una “fuga d’amore”. L’agente si sarebbe innamorato di una ragazza vicina a Potere al Popolo e, per questo motivo, avrebbe iniziato a frequentare il partito. Tuttavia, questa ricostruzione è apparsa fin da subito poco credibile. Non solo perché, secondo le testimonianze interne al movimento, lo stesso agente avrebbe più volte dichiarato di avere una fidanzata in Puglia – sua regione d’origine –, ma anche perché non avrebbe mai mostrato alcun interesse nei confronti delle attiviste incontrate durante le attività politiche. Un altro elemento che ha insospettito i militanti riguarda la sua routine settimanale: l’agente era sempre presente a Napoli, quartier generale del movimento, dal lunedì al venerdì, mentre risultava regolarmente assente durante i weekend. Una regolarità ritenuta non solo anomala, ma tale da spingere molti a chiedersi come riuscisse a conciliare una presenza così assidua con i suoi obblighi di servizio. Inoltre, l’agente avrebbe dichiarato di essere iscritto all’università Federico II di Napoli, ma anche questa giustificazione è apparsa poco convincente: un’eventuale iscrizione non spiegherebbe infatti una così lunga e continua assenza dal lavoro.
Insomma, i dubbi restano e sono tanti. Se davvero - come sostiene la polizia - non è mai stato emesso alcun mandato da parte della magistratura, allora chi ha autorizzato l’operato dell’agente? E soprattutto, come si giustifica il fatto che un poliziotto dell’antiterrorismo abbia seguito sistematicamente per mesi le attività di un partito politico senza ricevere ordini formali? Il quadro complessivo appare sempre più preoccupante. Prima i video e le foto che ritraggono giovani militanti vicini a Fratelli d’Italia - e, più in generale, all’area della destra radicale - mentre eseguono saluti romani durante manifestazioni e commemorazioni, scatenando forti polemiche contro il governo di Giorgia Meloni, accusato di minimizzare certe nostalgie fasciste. Poi il varo del decreto sicurezza, interpretato da molti come un provvedimento pensato per colpire il diritto al dissenso, rafforzando la sorveglianza e criminalizzando le proteste pacifiche e non autorizzate. A ciò si aggiunge il caso Paragon, il potente spyware di origine israeliana, simile a Pegasus, in grado di infiltrarsi nei telefoni cellulari, ma che sembra preferire soprattutto i telefoni di giornalisti, attivisti e oppositori politici. Ora, infine, arriva la vicenda dell’agente dell’antiterrorismo infiltrato in un movimento politico. Ma ciò che colpisce più di ogni altra cosa è il fatto che nessuno, all’interno delle forze dell’ordine, si sarebbe accorto che quel giovane agente, anziché trovarsi in servizio, frequentava in maniera stabile ambienti politici, con le modalità tipiche di un’operazione sotto copertura.
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