Era la notte del 26 maggio 1993 quando un’autobomba esplose in via dei Georgofili, sotto la storica Torre dei Pulci, a pochi passi dal Museo degli Uffizi, strappando la vita a cinque persone, tra le quali una bambina di nove anni e l’altra di 50 giorni (Nadia e Caterina Nencioni).
Le altre vittime furono Angela Fiume, custode dell’Accademia dei Georgofili, 36 anni; Fabrizio Nencioni, ispettore dei vigili urbani e marito di Angela Fiume, 39 anni e Dario Capolicchio, studente universitario, 22 anni.
Una delle ‘tracce’ della componente esterna che va oltre Cosa nostra è contenuta nell’esplosivo: nel podcast Nero su Bianco ricostruiamo le analisi della Commissione parlamentare antimafia, la quale ha stimato che l’autobomba conteneva circa 250 kg di esplosivo, con un margine di approssimazione del 15-20%. Tuttavia, secondo le indagini, la mafia siciliana avrebbe fornito solo 140 kg di esplosivo, lasciando un “vuoto” di circa 60-160 kg.
Chi mise quell’esplosivo in più?
E poi: dall’analisi dei residui sono state trovate tracce di compound B e Semtex, esplosivi di tipo militare. Le domande aumentano se si prende in considerazione anche la presenza di una ‘donna’ non ancora identificata che avrebbe fatto parte del gruppo operativo. Come consulente della Commissione Antimafia, Gianfranco Donadio (oggi procuratore della repubblica di Lagonegro) ha evidenziato che la strage di via dei Georgofili presenta “i tratti tipici di un’operazione criminale di falsa bandiera”.
La presenza di esplosivi militari e il vuoto temporale di circa un’ora nei racconti dei mafiosi (tra il parcheggio del Fiorino e l’esplosione dove qualcuno avrebbe potuto ‘potenziare’ la carica esplosiva) suggeriscono che l’attentato potrebbe essere stato supportato o eterodiretto da soggetti esterni alla mafia, con un progetto eversivo più ampio.
Inoltre, la rivendicazione della strage da parte della Falange Armata e del Gruppo 17 novembre (che alle 12:40 del 27 maggio parlò di “70 kg di Semtex”) rafforza l’ipotesi di un coinvolgimento di entità non mafiose, come parte di un disegno destabilizzante iniziato nel 1986 e proseguito con le stragi del 1992-1993.
“La presenza di figure femminili disarticola completamente l’idea che a commettere quelle stragi sia stata solo Cosa nostra”, ha sostenuto Donadio.
Il magistrato ha ricordato, per esempio, un rapporto della DIGOS in cui si parla esplicitamente di “una donna terrorista che sarebbe appartenuta a una, diciamo così, organizzazione parallela, che avrebbe agito al fianco della mafia corleonese nelle stragi del ’92 e soprattutto in quelle del ’93”.
Donadio ed altri colleghi pm ritengono che queste donne appartengano ad ambienti dei servizi segreti italiani e hanno goduto, e godono tuttora di coperture ad altissimi livelli. Il quadro si amplifica ulteriormente dal momento in cui la sentenza del 1999 - e poi nel 2017 in Cassazione nella sentenza Tagliavia - emerge con forza la presenza di una Trattativa tra i pezzi dello Stato e la mafia.
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