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Anche dalla destra politica arriva la condanna per i ‘neri’ che hanno provocato la strage di Brescia del 28 maggio 1974; ma ci sono sempre quelle ‘colonne d’ercole’ oltre le quali sembra che nessuno voglia avventurarsi.
Ricapitoliamo la tragedia: Il 28 maggio 1974 alle 10 e 2 minuti scoppiò una bomba in piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione promossa dal Comitato permanente antifascista in contemporanea con lo sciopero generale indetto dai sindacati. L'ordigno, nascosto in un cestino dei rifiuti e contenente almeno un chilogrammo di esplosivo, deflagrò due minuti dopo l'inizio del discorso, dal palco, del sindacalista della Cisl Franco Castrezzati. Otto le vittime: Luigi Pinto, Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda. Altre centodue persone rimasero ferite. Da quel momento si succedettero 17 processi, di cui uno ancora in corso.
Per ora i condannati invece sono tre (di cui uno non ancora definitivo): il 20 giugno 2017 Maurizio Tramonte, la 'fonte Tritone', considerato dai giudici un ex infiltrato dei servizi segreti e membro di 'Ordine Nuovo' è stato condannato  in via definitiva all'ergastolo per concorso in strage; con lui Carlo Maria Maggi, morto il 26 dicembre 2018, ritenuto il 'regista' dell'attentato e capo di Ordine Nuovo nel Triveneto. Fu Tramonte, secondo i giudici, a ispirare una relazione del Sid, il servizio segreto militare, in cui si diceva che nel 1974 c'erano state riunioni in cui Ordine Nuovo, sciolto nell'anno precedente, aveva deciso una ripresa clandestina delle attività. Uno di questi incontri avvenne ad Abano Terme tre giorni prima dell'attentato e dai documenti risulta che Maggi disse ai camerati che bisognava proseguire nella strategia stragista iniziata il 12 dicembre 1969 in piazza Fontana. 
In un'altra riunione spiegò che la strage di Brescia non sarebbe dovuta rimanere "isolata" ma essere seguita da "altre azioni terroristiche di grande portata da compiere a breve scadenza" per aprire "un conflitto interno risolvibile solo con lo scontro armato". Nella sentenza milanese firmata dalla giudice Anna Conforti e ribadita dalla Cassazione, considerata miliare nella ricostruzione dei fatti, si legge: "Dagli atti processuali emerge la prova certa di comportamenti ascrivibili ai vertici territoriali dell'Arma dei carabinieri e ad alti funzionari dei servizi segreti". Quindi non c’erano solo i ‘neri’ a Brescia. 
L’ultimo ad aver ricevuto una condanna, sebbene non ancora definitiva, è Marco Toffaloni, processato a porte chiuse davanti al Tribunale dei Minori poiché all’epoca dei fatti era minorenne. 
La Corte ha inflitto a Toffaloni (alias Franco Maria Muller) la pena di trent’anni di carcere in primo grado. Toffaloni per i pm era stato l'"esecutore materiale" della strage: avrebbe messo lui nel cestino la bomba. 
Da quello che si è potuto apprendere i pubblici ministeri Silvio Bonfigli e Cate Bressanelli hanno prodotto diversi elementi di prova: come le dichiarazioni di Gianpaolo Stimamiglio, ex esponente del Centro Studi Ordine Nuovo, che a partire dal 2010 iniziò una collaborazione con gli inquirenti bresciani. Stimamiglio riferì di un incontro con Toffaloni nel 1989, in un hotel di Peschiera del Garda di un comune amico, durante il quale quest'ultimo avrebbe ammesso la sua presenza a Brescia il giorno della strage. "A Brescia gh'ero mì", avrebbe confidato l'imputato.
Inoltre ci sono anche le parole confermate in udienza di Ombretta Giacomazzi.
La donna raccontò di aver visto Toffaloni a Verona, nei luoghi frequentati dai servizi segreti italiani e americani, da sempre ritenuti nevralgici nella strategia della tensione. Giacomazzi riferì anche di una violenta discussione tra i due, scatenata dal rifiuto del suo compagno di eseguire un attentato già pianificato.


Anche la Nato rientra negli accusati

L'inchiesta più recente, approdata da poco in aula con il processo a carico di Roberto Zorzi con rito ordinario, ha messo in luce documenti e materiali sul cosiddetto 'terzo livello' delle coperture, che portano a Palazzo Carli, il Comando della Nato di Verona.
I magistrati di Brescia, Silvio Bonfigli, protagonista dell'inchiesta durata quasi un decennio assieme alla collega Caty Bressanelli, hanno indagato fino a toccare i fili dell'Alleanza. Dalle 280 mila pagine depositate dalla Procura emerge che la pista investigativa porta a Palazzo Carli di Verona: nel secondo dopoguerra divenne prima sede del Comando delle forze militari della NATO, e poi sede del Comando delle forze operative terrestri COMFOTER dell'Esercito Italiano. In questa struttura, secondo gli investigatori, vi sarebbero state delle riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe mirato a sovvertire la democrazia italiana. Il tutto con la copertura di generali dei paracadutisti italiani e statunitensi.
Ad aver orientato gli inquirenti verso Palazzo Carli sarebbe stato un supertestimone, un uomo che ha segnato la via di questa inchiesta facendo nomi e cognomi.
Il processo a carico di Zorzi sta continuando e l’esame della teste Ombretta Giacomazzi e dell’ufficiale dell’Arma Giraudo hanno delineato un quadro particolarmente dettagliato.  

La commemorazione

Anche quest’anno c’è stata la commemorazione della strage: sul palco poi gli oratori, guidati da Maria Rosa Loda, si sono alternate due studentesse della 4F del liceo Gigli di Rovato e la segretaria nazionale della Uil Vera Buonuomo. Prima di cedere loro la parola Maria Rosa Loda ha scandito i nomi delle vittime. “Noi non dimentichiamo i nomi, i volti degli innocenti caduti. Non dimentichiamo le omissioni, i silenzi e le connivenze. Noi non dimentichiamo le forze opache che si scatenarono in quella tragica stagione di sangue” ha detto la sindacalista della Cisl. “La loro testimonianza – ha proseguito Loda, riferendosi alle vittime della strage – resta immortale. La loro eredità ideale deve aiutarci a far crescere una società più giusta, inclusiva e solidale”.
Loda ha poi letto la lettera inviata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 51º anniversario della Strage. “La città di Brescia ha reagito con fermezza e coraggio. Le istituzioni democratiche, le parti politiche, sindacali e sociali sono state capace di una risposta unita in difesa della nostra costituzione che la catena nera dell’eversione voleva aggredire. Vincere i terrorismi – ha scritto Mattarella – e sventare i piani eversivi è stato un percorso difficile e travagliato, pagato con il sangue da tanti innocenti. Le risorse morali e civili di chi si è battuto dalla parte della libertà e della democrazia hanno prevalso sugli stragisti, i conniventi e i loro complici. E la giustizia, sia pure con ritardo rispetto alle angosciose attese, ora è giunta una prima sentenza anche sugli esecutori materiali” ha scritto il presidente Mattarella riferendosi alla condanna di Toffaloni.

Foto © ACFB 

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