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Le dichiarazioni del supertestimone sembrano confermare le analisi che escludono cedimenti strutturali o esplosioni interne

Dopo oltre quarant’anni dalla strage di Ustica, che il 27 giugno 1980 costò la vita a 81 persone, emerge un nuovo inquietante elemento: il racconto di un supertestimone, un ex militare che quella notte si trovava all’interno del quartier generale della NATO in Belgio. Si tratta di Giovanbattista Sparla, all’epoca in servizio presso l’Aeronautica militare italiana e assegnato al centro operativo della NATO (Shape), situato a Casteau, in Belgio. Ricercato per anni dalla magistratura italiana, Sparla ha fornito dettagli inediti su quanto accadde nei cieli di Ustica attraverso due verbali, uno del 2005 e l’altro del 2009. Secondo la sua ricostruzione - resa nota da Repubblica - quella sera, sopra il Tirreno, si stava combattendo una vera e propria battaglia aerea tra caccia statunitensi e libici. Il DC-9 dell’Itavia - ha spiegato Sparla - si sarebbe trovato nel mezzo del combattimento ed è stato colpito per errore da un missile. “Il DC-9 è rimasto coinvolto nella battaglia tra gli aerei americani e libici. Uno di questi - ha precisato - avrà sganciato un missile che, per errore, ha colpito il velivolo civile. Ricordo di aver parlato con alcuni colleghi in servizio quella sera a Marsala e questi, sapendo che lavoravo allo Shape, mi dissero: ‘Allora tu sai tutto quello che è successo’”.

Durante la sua testimonianza, Sparla ha anche parlato di un’esercitazione militare in corso, denominata “Exercise South”, durante la quale sui tabelloni della sala operativa comparivano velivoli francesi e americani. Tuttavia, le autorità interpellate hanno sempre negato l’esistenza di qualsiasi esercitazione in atto in quei giorni. Il racconto dell’ex militare è oggi considerato rilevante alla luce di numerosi riscontri: militari, tecnici radar, civili - persone tra loro sconosciute - hanno descritto uno scenario simile. Navi e aerei militari erano effettivamente in azione nel Tirreno quella sera. Eppure, nessuna autorità ha mai rivelato i nomi dei piloti o dei comandi coinvolti. Nessuno ha chiarito chi fosse ai comandi dei jet. E per la procura di Roma, questo non è più un semplice vuoto informativo, ma il segnale evidente di un insabbiamento sistematico.

Ad ogni modo, la figura del supertestimone non è emersa per caso. È il risultato di una lunga e ostinata ricerca da parte della procura capitolina, che ha seguito ogni possibile pista per chiarire cosa accadde davvero nei cieli sopra Ustica quella sera. La sua testimonianza arriva in un contesto preciso: la richiesta, avanzata nei mesi scorsi dai magistrati romani, di archiviare i procedimenti ancora aperti sulla strage. Una richiesta che non rappresenta un passo indietro, ma una constatazione amara e documentata dell’impossibilità, allo stato attuale, di identificare i responsabili. L’ultimo procedimento aperto risale al 2022, avviato in seguito a un esposto dell’Associazione per la verità su Ustica, che riunisce familiari delle vittime e attivisti civili impegnati da anni nella ricerca della verità. Questo fascicolo segue un altro, aperto nel 2008 dopo le dichiarazioni dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che attribuì esplicitamente la responsabilità all’aeronautica francese e parlò di un attentato legato a un tentativo di colpire Gheddafi.

Che il disastro di Ustica non sia stato causato da un guasto tecnico né da un attentato terroristico, ma quasi certamente da un’azione militare mai dichiarata, è ormai una tesi largamente condivisa. Lo hanno confermato anche le analisi e le testimonianze di esperti come Donato Firrao, che nel 1993 firmò la perizia che smentiva la teoria della bomba a bordo. In linea con lui anche gli ingegneri aeronautici Ramon Cipressi e Marco De Montis, i quali hanno ribadito che il DC-9 fu colpito in volo da un caccia militare, probabilmente durante un’operazione segreta che coinvolgeva anche un MiG-23 libico. Diversi reperti e fotografie mostrano che l’ala destra dell’aereo e altre componenti riportano danni compatibili con un impatto esterno, incompatibili invece con un’esplosione interna o con il semplice impatto in mare. Si tratta di una ricostruzione rafforzata anche dal ritrovamento, nella stessa area, di un serbatoio esterno appartenente a un aereo militare statunitense, compatibile con i modelli A-7E Corsair II imbarcati sulla portaerei USS Saratoga, che quella sera incrociava nel Tirreno lungo la rotta del DC-9.

Nonostante le smentite ufficiali, numerosi indizi, tra cui il colore del serbatoio, la traiettoria della caduta, e altri reperti come un casco da pilota militare e un salvagente della Saratoga, suggeriscono, infatti, un possibile coinvolgimento diretto delle forze armate statunitensi. Inoltre, molte prove risultano sparite o occultate: documenti, registrazioni radar, reperti fisici, e persino il pilota dell’aereo militare coinvolto. Ciò che emerge, dunque, è il quadro di un insabbiamento durato decenni. Alla luce delle dichiarazioni di Sparla e delle analisi di Firrao, Cipressi e De Montis, resta una domanda: quali sono i tasselli ancora mancanti in un mosaico tanto drammatico come quello della strage di Ustica, la cui verità sembra spaventare più di una nazione?

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