L’intervento della madre di Attilio alla settima edizione della Giornata della Legalità
Dopo essere stata esiliata dalla sua terra, Angela Manca è tornata a far sentire la sua voce.
In video collegamento, ha parlato durante la settima edizione della Giornata della Legalità, tenutasi a Campomorone (GE) presso il teatro Cabannun. L’evento è stato moderato da Giuseppe Carbone, presidente di Agende Rosse Liguria, e dalla giornalista Sara Tagliente.
“Abbiamo fatto decine e decine di denunce dai carabinieri”, ma l’unico processo che ne è derivato, quello a carico di Ugo Manca, si è concluso con un’assoluzione con la formula “per non aver commesso il fatto”.
“Per un anno ero stata tranquilla a casa mia – ha detto – pensavo finalmente posso stare gli ultimi giorni della mia vita tranquilla nella mia casa. L’ultimo mese e mezzo questi attacchi violenti, guardia di giorno, di notte, io non respiravo più, piangevo sempre perché mi sentivo male, non avevo bene le vie respiratorie, si infiammavano tutte come se io sentissi dell’ammoniaca nelle vie respiratorie e poi mi sentivo soffocare, mi veniva un senso di nervosismo. Allora a questo punto ho detto io non posso stare più a casa mia sola nelle mani di delinquenti e quindi ho deciso di lasciare la mia terra, di stare vicino a mio figlio ma non vi dico quello che sto soffrendo, con grandissime sofferenze perché alla mia età allontanarsi dalla propria terra, dai suoi affetti, dai suoi ricordi, dai propri ricordi, dalle abitudini, dagli amici, dalle amicizie consolidate, io mi sento un pesce fuor d’acqua però purtroppo mi hanno privata di tutto, anche della mia vita, di vivere la mia vita con serenità. Purtroppo quando la magistratura non fa il proprio dovere la mafia si rafforza.”
Con profonda amarezza, Angela ha anche ricordato brevemente i particolari della morte del figlio, Attilio Manca, il famoso medico siciliano trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio 2004:
“La commissione antimafia della scorsa legislatura ha dichiarato in modo incontrovertibile che quello di Attilio è un omicidio portando delle prove e dei punti da sviluppare. Dopodiché l’avvocato Fabio Repici si è rivolto alla procura di Roma e noi siamo in attesa che si pronunci. Io non mi voglio illudere perché ho avuto troppe delusioni in questi anni, troppe sofferenze.”
Anche perché “il caso di mio figlio purtroppo è un caso particolare perché fa parte, come ha detto diverse volte Salvatore Borsellino, fa parte della trattativa Stato-mafia. Praticamente ci sono 40 anni di latitanza di Bernardo Provenzano e quindi che cosa abbiamo saputo noi in questi anni? Chi ha protetto Provenzano? Chi ha protetto la sua latitanza? Purtroppo fino ad oggi non ci è dato sapere nulla".
Salvatore Borsellino
Sul palco erano presenti anche Salvatore Borsellino, fondatore del Movimento Agende Rosse, Victoria De Lisi, fidanzata di Fabio Li Muli, perito in via D’Amelio il 19 luglio 1992, e Angelo Garavaglia Fragetta, co-fondatore del Movimento Agende Rosse.
Borsellino si è collegato alla morte di Attilio, volendo ricordare la recente emanazione del decreto sicurezza “dà ai servizi segreti la possibilità di fare quello che hanno sempre fatto nel corso della loro storia, compreso l’assassinio di Attilio Manca, compreso quello che hanno fatto nella strage di Capaci, nella strage di Via d’Amelio, nella strage della stazione di Bologna, e in tante stragi nel nostro paese e dà la facoltà di fare tutto questo senza possibilità di risponderne davanti alla magistratura. Almeno fino a oggi potevano essere chiamati dalla magistratura a rispondere di quello che avevano fatto.”
“Via d’Amelio – ha continuato – non è soltanto una strage di mafia, ma è anche e soprattutto una strage di Stato. Non una strage dello Stato vero, dello Stato giusto, dello Stato che porta la divisa, dello Stato degli uomini che sacrificano la loro vita per questo Stato, ma di quello deviato”. Quello che, per intenderci, ha messo in atto i depistaggi e che ancora oggi occulta la verità.
Il primo “depistaggio fatto dopo la strage di Via d’Amelio è stata la scomparsa dell’Agenda Rossa, il furto dell’Agenda Rossa dalla borsa di Paolo” – ha detto Angelo Garavaglia – e a compiere questo furto non sono state mani mafiose, purtroppo sono state mani di Stato. Uomini di Stato hanno rubato l’agenda rossa di Paolo Borsellino".
Durante l’evento ha parlato anche Victoria De Lisi, che ha condiviso pubblicamente il suo dolore e l’amore per Fabio Li Muli, agente della scorta di Paolo Borsellino. Con grande emozione ha ripercorso la loro storia, segnata da un legame profondo e da sogni infranti. “Non vi nascondo che per me è molto difficile fare queste presentazioni perché non sono una persona abituata a parlare in pubblico”, ha esordito Victoria, spiegando il suo lungo silenzio: “Dopo il 19 luglio del 1992 la rabbia, il dolore che avevo dentro non mi ha permesso di portare avanti la memoria di Fabio, dei ragazzi della scorta e quindi mi sono chiusa un po’ dentro me stessa provando una fortissima gelosia verso la mia storia".
Victoria ha ricordato l’inizio della loro relazione nel 1990: “Ci siamo conosciuti nel novanta, stavamo insieme da due anni, in quei due anni abbiamo bruciato tutte le tappe, non lo so, sarà stato un senso di una clessidra che scorreva, l’amore.” Fabio, descritto come “un ragazzo pieno di vita, con una voglia di vivere, che progettava tutto nella sua vita”, aveva fretta di costruire un futuro insieme: “Dopo due mesi io ho conosciuto i suoi genitori, aveva fretta di farmi conoscere i suoi genitori.” La sera prima della strage, i due avevano trascorso una giornata felice a un matrimonio di famiglia. “Abbiamo trascorso insieme ai suoi genitori questa giornata molto particolare”, ha detto, ma Fabio, controllando il turno, aveva scoperto il servizio delle 13-19: “È uscito un po’ rattristato ma ha detto ‘vabbè non ti preoccupare io finirò alle diciannove mi cambio e vengo subito da te’.” Il 19 luglio, l’ultima chiamata: “Fabio mi chiama e mi fa ‘amore, mi sono svegliato, devo fare in fretta, mi sono svegliato di soprassalto perché è scattato l’allarme di una macchina. Adesso scappo, aspettami alle sette, sette e mezza sarò da te’.” È stato l’unico appuntamento mancato. Quel pomeriggio, ignara, Victoria aveva ricevuto segnali d’allarme: “Accendo la tv, vedi quelle immagini, sembrava una guerra. Pensavo sempre ‘arrivano le 19, sta per suonare, starà qui per arrivare’.” La tragica conferma era arrivata solo dopo: al Policlinico, la madre di Fabio, disperata, le aveva detto: “Vittoria, Fabio tanto non può essere qui, Fabio è vivo, non è qui Vittoria, non può essere morto Fabio.” Spinta da Tiziana, sorella di Fabio, Victoria aveva accettato l’anno scorso di collaborare a un libro, ‘Cinque vite. Racconti inediti dei familiari della scorta di Paolo Borsellino’: “Ho detto ‘sono stata 33 anni chiusa dentro il mio dolore, forse è arrivato il momento che anche io faccia la mia parte, devo anche io portare avanti la memoria di Fabio’.” Un passo doloroso per onorare Fabio e i suoi colleghi, caduti per la giustizia.
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