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Il Pm Silvio Bonfigli: "Se tutti avessero fatto il loro dovere ad agosto del 1974, questo sarebbe stato un caso risolto"

Il Tribunale dei Minori di Brescia ha condannato a 30 anni di carcere Marco Toffaloni (alias Franco Maria Muller) per il reato di strage nel processo nato dall'inchiesta quater sull'attentato di piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974. Toffaloni per i pm era stato l'"esecutore materiale" della strage: avrebbe messo lui nel cestino la bomba, di matrice neofascista, che uccise dieci persone assieme a Roberto Zorzi, imputato in un processo in corso davanti alla Corte d'Assise. Toffaloni, militante di Ordine Nuovo, all'epoca aveva 16 anni e per questo è stato giudicato dal Tribunale dei Minori.
La strage, ricordiamo, colpì i partecipanti di una manifestazione promossa dal Comitato permanente antifascista in contemporanea con lo sciopero generale indetto dai sindacati. L'ordigno, nascosto in un cestino dei rifiuti e contenente almeno un chilogrammo di esplosivo, deflagrò due minuti dopo l'inizio del discorso dal palco del sindacalista della Cisl Franco Castrezzati. Le vittime furono otto: Luigi Pinto, Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda. Altre 102 persone rimasero ferite, il sangue dei morti e dei sopravvissuti si mescolò con la pioggia battente.
Dopo quel tragico girono si susseguirono ben 17 processi, più i due in corso, frutto di nuove indagini della Procura di Brescia, a carico di Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, allora giovanissimi militanti della destra eversiva, accusati di avere piazzato la bomba per vendicare Silvio Ferrari, il neofascista ucciso da un'esplosione mentre viaggiava sulla sua Vespa pochi giorni prima, tra il 18 e il 19 maggio.
Per ora sono due i condannati in via definitiva all'ergastolo per concorso in strage: il 20 giugno 2017 venne condannato Maurizio Tramonte, la 'fonte Tritone', considerato dai giudici un ex infiltrato dei servizi segreti e membro di 'Ordine Nuovo'.
L'altro è Carlo Maria Maggi, morto il 26 dicembre 2018, ritenuto il 'regista' dell'attentato e capo di Ordine Nuovo nel Triveneto. Fu Tramonte, secondo il verdetto definitivo, a ispirare una relazione del Sid, il servizio segreto militare, in cui si diceva che nel 1974 si erano svolte riunioni in cui Ordine Nuovo, sciolto nell'anno precedente, aveva deciso una ripresa clandestina delle attività. Uno di questi incontri avvenne ad Abano Terme tre giorni prima dell'attentato e dai documenti risulta che Maggi incitò i camerati a proseguire nella strategia stragista iniziata il 12 dicembre 1969 in piazza Fontana. In un'altra riunione spiegò che la strage di Brescia non sarebbe dovuta rimanere "isolata" ma essere seguita da "altre azioni terroristiche di grande portata da compiere a breve scadenza" per aprire "un conflitto interno risolvibile solo con lo scontro armato". Nella sentenza milanese firmata dalla giudice Anna Conforti e ribadita dalla Cassazione, considerata miliare nella ricostruzione dei fatti, si legge: "Dagli atti processuali emerge la prova certa di comportamenti ascrivibili ai vertici territoriali dell'Arma dei carabinieri e ad alti funzionari dei servizi segreti". L'inchiesta più recente ipotizza, a partire da documenti e testimonianze, un cosiddetto 'terzo livello' delle coperture, che portano dritte a Palazzo Carli, il Comando della Nato di Verona.
"È solo il primo passo, naturalmente, perché adesso poi bisogna aspettare gli altri gradi di giudizio, aspettare soprattutto le motivazioni. Comunque, per me, credetemi, la cosa principale, a parte le responsabilità individuali, è che è venuta fuori la verità del contesto" ha affermato Silvio Bonfigli, magistrato oggi a capo della procura di Cremona che assieme alla collega Bressanelli ha rappresentato l'accusa nel processo. "Quindi è un passo importante perché questa è la verità processuale che lentamente anche se inesorabilmente si avvicina a quella storica. Di certo - ha aggiunto Bonfigli - se tutti avessero fatto il loro dovere ad agosto del 1974, questo sarebbe stato un caso risolto".


Le testimonianze contro Toffaloni

I pubblici ministeri Silvio Bonfigli e Cate Bressanelli hanno prodotto diversi elementi di prova: come le dichiarazioni di Gianpaolo Stimamiglio, ex esponente del Centro Studi Ordine Nuovo, che a partire dal 2010 iniziò una collaborazione con gli inquirenti bresciani. Stimamiglio riferì di un incontro con Toffaloni nel 1989, in un hotel di Peschiera del Garda di un comune amico, durante il quale quest'ultimo avrebbe ammesso la sua presenza a Brescia il giorno della strage. "A Brescia gh'ero mì", avrebbe confidato l'imputato.
Inoltre ci sono anche le parole confermate in udienza di Ombretta Giacomazzi, compagna all'epoca di Silvio Ferrari.
La donna raccontò di aver visto Toffaloni a Verona, nei luoghi frequentati dai servizi segreti italiani e americani, da sempre ritenuti nevralgici nella strategia della tensione. Giacomazzi riferì anche di una violenta discussione tra i due, scatenata dal rifiuto del suo compagno di eseguire un attentato già pianificato.

Per Bressanelli "il suo racconto è credibile ed è riscontrato", a cominciare dalla minuziosa descrizione dei luoghi. "Mi sento in colpa per la strage - aveva dichiarato in aula Giacomazzi, per molti anni reticente - anche perchè se avessi parlato prima forse i familiari non avrebbero sofferto cosi' tanti anni. Però è anche vero che io ho salvato la mia pelle". Per la Procura Toffaloni era "il giovane adatto" a commettere la strage assieme ad altri perche' i giovani ordinovisti erano "necessari" da mandare in prima linea al posto dei 'vecchi' che sarebbe stato troppo facile riconoscere. E poi c'é la fotografia che ritrarrebbe Toffaloni in piazza dopo l'esplosione, sequestrata nel 2016 nell'abitazione della famiglia dell'imputato. "E' un'immagine di prima delle dichiarazioni di Stinamiglio, il quale pero' non ne era a conoscenza, un passaggio che rende ancora più rilevante il suo contributo", ha scritto la pm nella sua memoria.
Per essere sicuri degli elementi che hanno portato alla condanna non resta che aspettare le motivazioni della sentenza.


Manlio Milani: "Sentenza certifica quello che tutti sapevano"

"Questa condanna certifica che tutti sapevano tre giorni prima. Mi lascia attonito che abbiamo dovuto aspettare 50 anni. Quello che emerge è un quadro complessivo in cui le 'coperture' erano il dovere assoluto" ha detto Manlio Milani, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime di piazza della Loggia.
"E' una sentenza importante, un altro tassello messo a posto nel puzzle della ricostruzione della strage del 28 maggio 1974" ha detto invece l'avvocato Federico Sinicato, storico legale di parte civile che rappresenta alcune familiari delle vittime. La sentenza del Tribunale dei minori di Brescia, spiega il legale, "arriva in un momento nel quale la ricostruzione delle stragi degli anni Settanta, grazie anche all'ultima sentenza a Bellini per la strage alla stazione di Bologna, sta facendo grandi passi avanti. E' importante arrivare all'identificazione sempre più del ruolo ricoperto dalla destra venta e dagli appartenente a Ordine nuovo". Toffaloni, 68 anni, è attualmente un cittadino svizzero. "Ha acquisito la cittadinanza svizzera grazie un matrimonio, quindi in teoria potrebbe anche venirgli revocata - ha chiarito l'avvocato Sinicato -. Poi, in caso di condanna definitiva, bisognerà vedere se le autorità elvetiche accetteranno di estradarlo in Italia".  Resta da vedere come si concluderà processo a carico di Roberto Zorzi, l'altro presunto esecutore materiale: "Toffaloni e Zorzi sono entrambi veronesi, entrambi operavano all'interno degli stessi gruppi ed entrambi sono stati due identificati da due testimoni chiave tra i partecipanti ad alcuni riunioni di preparazione nei giorni immediatamente precedenti alla strage - ha ricordato il legale -. Il fatto che sia stata riconosciuta la responsabilità dell'imputato Toffaloni rappresenta una solida base anche nel processo a Zorzi". Secondo l'avvocato Sinicato, resta tuttavia da approfondire un altro aspetto fondamentale: "Quello alti ufficiali delle forze armate, agenti servizi segreti anche stranieri e estremisti di destra. Un elemento centrale degli anni della strategia della tensione su cui è necessario indagare ancora".

Foto © ACFB

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