Documenti inediti potrebbero far luce sulla scomparsa della cittadina vaticana svanita nel nulla il 22 giugno 1983
I documenti in questione, mostrati dalla rivista “Il Venerdì” di Repubblica, risalgono proprio al periodo della scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983, e provengono dagli archivi del Sismi, i servizi segreti italiani dell’epoca. Nel dettaglio, si tratta di due documenti. Il primo è datato 27 luglio 1983 e riporta un’affermazione espressa con la cautela del condizionale: “Ci sarebbe stato già il pagamento di un riscatto”. Un appunto che si basa su informazioni fornite da una fonte riconducibile all’Arma dei Carabinieri. In allegato si trova anche un secondo documento, datato 12 agosto 1983, che riporta una riunione avvenuta il giorno precedente all’interno delle mura vaticane. Particolarmente interessante è il contenuto dei documenti portati alla luce dalla giornalista di Repubblica Simona Zecchi, che delinea uno scenario inquietante: si parla del passaggio della giovane Orlandi da un gruppo di rapitori a un altro e di un rapporto “segretissimo”, redatto dall’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Claudio Chelli, destinato a vertici non meglio precisati. Oltre al riferimento al pagamento del riscatto, vi sono anche accenni a contatti tra i familiari di Emanuela, i rapitori e alcune alte sfere vaticane. Tutti episodi che sarebbero avvenuti in un arco temporale ben preciso: dal 22 giugno al 5 luglio 1983.
Tornando all’incontro del 11 agosto 1983, secondo quanto riportato nel secondo documento, vi presero parte figure chiave legate al caso Orlandi: il magistrato Domenico Sica, titolare dell’inchiesta; il capo della sezione omicidi Nicola Cavaliere; e il tenente colonnello dei Carabinieri Domenico Cagnazzo. Al posto del Segretario di Stato Agostino Casaroli, partecipò l’arcivescovo Eduardo Martínez Somalo, che avrebbe smentito esplicitamente l’ipotesi del pagamento del riscatto. Sempre durante quell’incontro, Somalo avrebbe anche negato qualsiasi contatto tra il Vaticano e i rapitori di Emanuela Orlandi. I due documenti pubblicati da Repubblica rappresentano solo una piccola parte di un fascicolo ben più ampio, il cui contenuto, a quanto pare, resta in gran parte sconosciuto. Si tratta infatti di un dossier di 459 pagine, classificato presso l’Archivio Centrale di Stato sotto la voce “Sabotaggi e attentati”, collocazione 572. Il titolo è chiaro e inequivocabile: “Caso Emanuela Orlandi”. Inoltre, all’interno si trovano numerosi dettagli e resoconti investigativi interni ai Servizi, trascrizioni di telefonate anonime, segnalazioni su personaggi legati al Medio Oriente, materiali relativi al gruppo “Phoenix” (che in passato ha inviato diverse lettere ai media, dichiarando di voler porre fine al mistero che ruota attorno al caso Orlandi), oltre a una corposa rassegna stampa dell’epoca. Eppure, nonostante l’esistenza di questo dossier, altri fascicoli sul caso - tra cui quelli che avrebbero dovuto essere conservati dal Ministero dell’Interno - risultano oggi inspiegabilmente vuoti, come segnalato di recente dalla Commissione parlamentare d’inchiesta. Una circostanza che alimenta ulteriormente la sensazione, ormai diffusa, che la segretezza intorno al caso Emanuela Orlandi sia stata a lungo protetta dai vertici istituzionali. Resta il fatto che la speranza, nonostante i molti anni trascorsi, non è ancora svanita. Con la progressiva desecretazione degli archivi e le nuove indagini avviate dalla Commissione parlamentare, si apre infatti un piccolo spiraglio di luce su un mistero che dura da oltre quarant’anni.
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