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"Preferirei una pace ingiusta piuttosto che una 'morte giusta' per tutti, innocenti compresi. Una pace, per quanto ingiusta, non preclude la possibilità di operare successivamente per ottenere giustizia".
Mentre invece una guerra, che per sua natura è "oligarchica" non potrà mai portare giustizia in quanto "è decisa dai pochi che ne traggono vantaggio a danno dei molti che la combattono e rischiano la vita; al contrario la pace è democratica perché riguarda tutti".
Sono state queste le parole del presidente emerito della Corte Costituzionale e grande professore Gustavo Zagrebelsky (in foto) su 'Il Fatto Quotidiano'.
Questa settimana Torino accoglierà un’edizione di Biennale democrazia dal titolo cruciale: Guerre e paci, un Tolstoj al plurale: "Non parleremo solo della guerra in senso tradizionale, ma della condizione dell’umanità nelle relazioni tra Stati, società, economie e culture. Discuteremo di guerra armata, ma anche di guerre commerciali, energetiche, informatiche, ecologiche, di genere, di suprematisti di vario tipo; ciascuna combattuta con i propri strumenti. A Tolstoj - ha continuato - era chiara una cosa: una volta avviata la macchina bellica, che porta solo dolore e distruzione, è difficile tornare indietro. E l’Europa si avvia, senza infingimenti e quasi con entusiasmo, al riarmo.
Si parla troppo di armi: è riaffiorato, ma forse non era mai scomparso, quel motto terribile: si vis pacem para bellum. Una massima elaborata ai tempi della pax romana, una pace fondata sul dominio, anche se il concetto era vecchio, forse addirittura platonico
".
L’idea di convivere con gli opposti, pace e guerra, si risolve in un equilibrio del terrore, come dopo la Seconda guerra mondiale, dove la pace è stata mantenuta non per armonia, ma per paura reciproca tra blocchi comunista e capitalista. Tuttavia, questo equilibrio è fragile: la corsa agli armamenti, alimentata dal desiderio di superiorità e dall’affidamento a tecnologie come l’intelligenza artificiale, aumenta il rischio di conflitti, anche accidentali. La storia, un ‘grande mattatoio’ secondo Hegel, mostra che armarsi per paura non ha mai prevenuto le guerre, ma ha creato una spirale perversa di escalation. Oggi il mondo è più armato che mai.
Ci si interroga allora sulla giustizia: se la pace giusta è irraggiungibile, si è disposti a una guerra definitiva, magari nucleare? Questo dilemma, vivo negli anni Cinquanta, resta attuale.

Fonte: Ilfattoquotidiano.it

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