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Tescaroli: “Errori gravi e inescusabili, fatti a vantaggio della società"

La procura di Prato ha inviato avvisi di garanzia a nove persone, tra cui sette dirigenti di Eni, in relazione alle esplosioni avvenute al deposito del Cane a sei zampe di Calenzano, nel Fiorentino. L'incidente ha causato cinque morti, 28 feriti e ingenti danni anche ad aziende vicine. La società stessa è indagata ai sensi della legge sulla responsabilità civile, mentre le accuse mosse agli indagati comprendono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali.
Secondo i magistrati guidati da Luca Tescaroli, le quattro esplosioni avrebbero potuto essere evitate. Il procuratore capo ha definito l'evento un “grave e inescusabile errore”, evidenziando come dalla documentazione di sicurezza rilasciata a Eni e alle attività di Sergen sia emersa la presenza di fonti di innesco. Tra queste, il motore a scoppio di un elevatore, che avrebbe generato calore in un’area ad alto rischio proprio mentre erano in corso le operazioni di carico delle autobotti.
Tra gli indagati figurano Patrizia Boschetti, datore di lavoro committente e responsabile della struttura organizzativa del centro Eni di Roma; Luigi Collurà, dirigente delegato alla sicurezza del deposito di Calenzano; Carlo Di Perna, responsabile manutenzioni e investimenti depositi Centro; Marco Bini, preposto Eni che ha classificato l’attività di Sergen. Inoltre, sono coinvolti Elio Ferrara, preposto Eni che ha autorizzato il rinnovo del permesso di lavoro a Sergen il giorno dell’incidente; Emanuela Proietti, responsabile del servizio prevenzione protezione di Eni; ed Enrico Cerbino, responsabile del progetto esterno per le manutenzioni e investimenti depositi Centro. Indagati anche Francesco Cirone, datore di lavoro e Rspp dell’impresa esecutrice Sergen di Viggiano (Potenza), e Luigi Murno, preposto della stessa azienda.
La procura ha stabilito lo svolgimento di un incidente probatorio alla luce dei risultati investigativi, al fine di tutelare anche gli stessi indagati. Secondo gli inquirenti, i reati sarebbero stati commessi nell’interesse e a vantaggio di Eni, che non avrebbe adottato un modello organizzativo adeguato per prevenire rischi di questo tipo. Il procuratore Tescaroli ha spiegato che Eni, secondo il proprio metodo statistico, aveva classificato l’eventualità di un incidente simile con una probabilità molto bassa.
Gli investigatori sostengono che un fattore chiave nell’incidente sia stata la decisione di permettere la contemporaneità tra le operazioni di carico delle autobotti e le attività di manutenzione. Questo avrebbe consentito di mantenere alta la produttività, evitando di allungare i tempi di attesa degli autisti. Secondo la procura, tale prassi sarebbe comune a tutti i depositi Eni su scala nazionale, ampliando così l’interesse e il vantaggio derivante da simili procedure operative.
Eni, dal canto suo, ha dichiarato di prendere atto dell’inchiesta e ha confermato la massima collaborazione con l’autorità giudiziaria, ribadendo la volontà di contribuire a chiarire cause e dinamiche dell’incidente.

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