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Strategie della tensione, golpe mancati, terrorismo e mafia: una storia di destabilizzazione politica sistematica

Il nostro è un Paese nato dalla Resistenza, ossia da una lotta popolare, che trova il suo spirito in una Costituzione profondamente democratica e antifascista. Tuttavia, è anche un Paese che non ha mai davvero chiuso e risolto la questione fascista”. A spiegarlo ieri a Siena, durante la presentazione del suo libro “Potere occulto” (Chiarelettere), è stata la giornalista e saggista Stefania Limiti. In occasione dell’evento “Pagine di Legalità”, Limiti ha ricordato come la storia italiana sia stata segnata da stragi e destabilizzazioni politiche, che hanno tracciato una lunga scia di sangue fatta di attentati terroristici e tentativi di golpe, finalizzati a condizionare lo sviluppo democratico. Proprio per questo motivo - ha sottolineato la giornalista - eventi cruciali come quello di Piazza Fontana, le stragi mafiose del 1992-1993 e l’ascesa politica di Silvio Berlusconi non devono essere interpretati soltanto come fenomeni criminali o mafiosi, ma come manifestazioni di un “contropotere reazionario” che, adattandosi nel tempo, ha inciso profondamente sulla storia recente del nostro Paese.
Parlando di stragi, durante l’incontro moderato dal giornalista de Il Fatto Quotidiano, Giuseppe Pipitone, è intervenuto anche il fondatore del Movimento delle Agende Rosse, Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino, assassinato nel 1992 in via d'Amelio. Il fratello del magistrato ha espresso profonda amarezza e grande preoccupazione per la situazione attuale riguardante la ricerca della verità e della giustizia sulle stragi che hanno segnato l’Italia.


limiti stefania siena

In questi trent’anni non ho mai attraversato un periodo così nero nella mia ricerca di verità e giustizia. Ho perso letteralmente le speranze”, ha dichiarato Borsellino, denunciando apertamente il “tentativo di riscrittura della storia del nostro Paese” in atto, portato avanti sia da una parte del governo che dalla Commissione Parlamentare Antimafia, con l’obiettivo di “eliminare la responsabilità dello Stato” rispetto alle stragi di mafia e di banalizzare la strage di via d’Amelio rispetto alle altre. Altre critiche si sono levate anche - e soprattutto - contro la volontà della Commissione Antimafia di limitare il proprio focus su via d’Amelio, riducendo tutto alla questione “mafia e appalti”. Un approccio “riduttivo” - ha precisato Borsellino - che esclude a ogni costo il fatto che la strage di via d’Amelio sia “la conseguenza diretta di quella avvenuta a Capaci”. Due “azioni di guerra” che, secondo Borsellino, sarebbero state impossibili da realizzare per dei “semplici mafiosi”. Il fratello del giudice assassinato nel luglio del 1992 ha voluto approfondire anche un altro aspetto: la sparizione della famosa agenda rossa, dove il giudice Borsellino annotava informazioni e dettagli utili alle sue indagini. “Non bastava uccidere Paolo Borsellino - ha sottolineato - bisognava anche far sparire quell’agenda: la scatola nera di quella strage”.
Parlando, invece, delle indagini su Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, Daniele Gabbrielli, vicepresidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, ha ribadito come, a suo avviso, le archiviazioni delle accuse nei loro confronti rappresentino in realtà “un atto d'accusa pesantissimo dal punto di vista storico”, pur non essendo stato possibile raggiungere una condanna giudiziaria definitiva.


borsellino salvatore siena


Restando sui fatti accertati, Gabbrielli ha elogiato il lavoro del magistrato Luca Tescaroli, grazie al quale sono emersi gli intrecci dietro le stragi degli anni Novanta. Mentre lo storico avvocato dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Danilo Ammannato, ha spiegato chiaramente che oggi, grazie a oltre 12.000 pagine di sentenze emesse da 90 giudici nei processi sulle stragi del 1992-1993, è possibile conoscere “almeno il 90% della verità storica” sui fatti che insanguinarono l’Italia. Per questo motivo, Ammannato ha insistito sulla necessità di distinguere nettamente tra responsabilità penale, che richiede prove certe, e responsabilità politica e storica, sottolineando che “la trattativa tra Stato e mafia c’è stata davvero”, al punto da causare conseguenze gravissime, come “l’accelerazione dell’omicidio di Borsellino” e “il più clamoroso depistaggio della storia giudiziaria italiana”.
Infine, è intervenuto il noto avvocato Fabio Repici, che ha evidenziato con chiarezza e pragmatismo come ogni strage italiana sia stata sempre accompagnata da depistaggi. “E sono sempre avvenuti per mano di uomini delle istituzioni”, ha spiegato. Ancora oggi - ha proseguito Repici - vengono messi in atto tentativi per ostacolare la verità giudiziaria e storica, come nel caso della sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sottratta pochi istanti dopo l'attentato. A conferma di ciò, Repici ha citato anche i depistaggi orchestrati attraverso falsi pentiti, come Maurizio Avola, e le normative, come il decreto sicurezza, che consentirebbe addirittura “a uomini dei servizi segreti di diventare capi delle organizzazioni criminali”.

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