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Il fratello della cittadina vaticana scomparsa nel 1983: “Una fonte mi ha parlato di un incontro avvenuto tre anni fa”

È morta all’età di 65 anni Sabrina Minardi, una delle figure chiave legate al caso Emanuela Orlandi. Ex moglie del calciatore Bruno Giordano e, soprattutto, ex compagna di Enrico De Pedis, il boss della Banda della Magliana conosciuto anche come “Renatino”, Minardi è stata, infatti, una testimone controversa nel caso della giovane cittadina vaticana, scomparsa nel giugno 1983. Tra i primi a darne la notizia è stata la giornalista Raffaella Notariale, che aveva collaborato con Minardi alla stesura del libro “La supertestimone del caso Orlandi”. “È morta serenamente - scrive Notariale sulla sua pagina Facebook - come chi sa di aver detto la verità. Si è spenta dopo essere stata dal parrucchiere, si era fatta bionda e bella perché aspettava i suoi affetti più grandi... È morta nel sonno, Sabrina... e a me dispiace umanamente e professionalmente. Non uno, ma mille gli spunti che ha offerto alle indagini, ma chi avrebbe dovuto e potuto coglierli, non ha voluto farlo. Non ultima la Commissione d’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi… Dopo Tizio, Caio, Sempronio, il palo della luce, due volte lo zerbino... Esattamente, che cosa aspettavate, Vossignori?”.


Il ruolo di Minardi nel caso Orlandi

In molti ricorderanno le dichiarazioni rilasciate da Minardi nel 2006, quando disse che fu proprio De Pedis a rapire Emanuela Orlandi, tenendola nascosta prima in una casa a Torvajanica e poi in un appartamento a Monteverde. Secondo la sua testimonianza, la ragazza sarebbe stata poi portata in auto fino a un distributore di benzina del Vaticano, dove sarebbe stata consegnata a un prete. Un racconto che ha gettato ombre inquietanti sul possibile coinvolgimento di ambienti ecclesiastici nel caso. Le indagini riaperte grazie alle sue parole hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di diversi personaggi legati alla criminalità romana, e un sacerdote: monsignor Pietro Vergari, ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare, dove fu sepolto lo stesso De Pedis. Tuttavia, nonostante le piste aperte e gli interrogatori, l’inchiesta è stata archiviata senza un processo, lasciando molti interrogativi senza risposta. In particolare, tra le domande che ancora attendono chiarimenti, c’è quella relativa al motivo per cui, nonostante il suo ruolo centrale nelle indagini, Sabrina Minardi non sia mai stata ascoltata né dalla commissione bicamerale d’inchiesta né dalla Procura di Roma dopo il 2015. Ad ogni modo, Minardi è sempre rimasta al centro di numerose polemiche e dubbi. Alcuni l’hanno ritenuta un testimone chiave nel caso Orlandi, altri, invece, l’hanno accusata di fornire versioni poco credibili e discordanti nel tempo. Resta il fatto che la sua storia è stata considerata di grande interesse, tanto da essere ripresa anche nel documentario “Vatican Girl”, uscito nel 2022 su Netflix.


Il rammarico di Pietro Orlandi e una nuova rivelazione: si avvicina la verità?

Il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, che ha più volte cercato invano un confronto con Minardi, si è detto rammaricato per non aver mai avuto l’opportunità di incontrarla. Ha provato più volte, infatti, a parlare con l’ex amante del boss della Banda della Magliana, ma sempre senza successo. Ciò nonostante, la sua caparbietà nel voler scoprire la verità sulla scomparsa della sorella non sembra destinata a tramontare. Ieri, Orlandi ha condiviso sui social un nuovo tassello, rivelando in un post su Facebook di aver ricevuto informazioni significative da una fonte solo pochi giorni fa. Dettagli che - ha sottolineato - potrebbero rivelarsi cruciali nella ricerca della verità e che riguardano un episodio avvenuto circa tre anni fa, quando Giuseppe Pignatone era già Presidente del Tribunale Vaticano. “Nei giorni scorsi ho avuto un incontro con una persona e sono venuto a conoscenza di un fatto. Ci fu un incontro in un locale di Roma tra quattro persone: una giornalista, un collaboratore dell’AISE (ex SISMI) esperto di sicurezza nelle telecomunicazioni e due personaggi noti, Luca Palamara (ex magistrato ed ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura) e Antonio Ingroia (ex magistrato, sostituto procuratore presso la Procura di Palermo). La conversazione, oltre a toccare argomenti riguardanti il CSM, affrontò temi molto delicati - ha precisato Pietro Orlandi - come, ad esempio, il fatto che nel 1992 qualcuno non volle far installare un noto sistema di sicurezza sulle auto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e della loro scorta, sistema già utilizzato sulle auto di un altro magistrato, che avrebbe impedito e bloccato il segnale del telecomando collegato all’esplosivo, salvando così la vita ai due giudici e alle persone che morirono con loro”.

Ma un altro aspetto di quell’incontro è particolarmente rilevante. Secondo quanto riportato nel post pubblicato da Orlandi, Palamara e Ingroia avrebbero discusso del trasferimento di Pignatone da Reggio Calabria alla Procura di Roma, suggerendo che dietro questa decisione ci fosse una regia ben precisa. “I due parlano e ricordano le motivazioni del trasferimento di Pignatone da Reggio Calabria alla Procura di Roma, con frasi del tipo: ‘Ti ricordi perché l’hanno voluto insistentemente alla Procura di Roma, no?’ - ‘Sì, sì, certo’. I due - ha continuato Orlandi - fanno riferimento alla volontà di ‘qualcuno’ di portare assolutamente Pignatone a Roma affinché risolvesse due situazioni: il caso Orlandi, da archiviare, e quello di Mafia Capitale, che portò poi all’arresto di Carminati. Tutto ciò, sempre secondo la conversazione tra Palamara e Ingroia, avrebbe poi consentito a Pignatone, una volta concluse queste due vicende, di ricoprire il ruolo di Presidente del Tribunale Vaticano al termine del suo mandato come Capo della Procura di Roma (cosa che avvenne nel 2019). Queste due persone, Palamara e Ingroia - ha sottolineato il fratello di Emanuela Orlandi -, non parlavano di supposizioni, ma di fatti di cui erano a conoscenza. Infatti, appena insediato alla Procura di Roma, Pignatone prese in carico il caso di Emanuela e, a seguire, quello di Mafia Capitale. Naturalmente - ha aggiunto Orlandi - avrei anche potuto virgolettare, qui e ora, tutta la loro conversazione, ma lascio questo, qualora volessero approfondire, alla Procura di Roma, alla Commissione Parlamentare e all’Inchiesta Vaticana, mettendo a loro disposizione i nominativi delle altre due persone presenti all’incontro. Sono passati troppi anni da quel 22 giugno 1983 - ha concluso - e mi domando: quanto tempo deve passare ancora affinché tutte le persone che sanno qualcosa si decidano a parlare?”.

Foto © Imagoeconomica

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