A Udine un’esperienza immersiva che ha scosso le coscienze e chiamato all’azione.
Un grido d’arte, una ferita aperta sulla pelle della società, un invito alla consapevolezza e all’azione. Il 30 e 31 agosto 2024, la città di Udine ha ospitato Amari graffi nell’anima, una global art experience che ha scosso il pubblico attraverso un percorso immersivo e multisensoriale. Le location scelte per questo evento di forte impatto, la Loggia del Lionello e il Padiglione 9 del Parco di Sant’Osvaldo, si sono trasformate in teatri di una riflessione collettiva sulla presenza pervasiva della mafia nelle istituzioni e nella società civile.
L’evento si è articolato in due momenti chiave:30 agosto: intervista a Gaspare Mutolo, ex mafioso divenuto collaboratore di giustizia, che con la sua testimonianza ha offerto uno spaccato crudo e autentico delle dinamiche di Cosa Nostra e del sistema che la protegge; 31 agosto: apertura della mostra, un’esperienza artistica che ha trasformato lo spettatore in protagonista di un viaggio attraverso il dolore, il coraggio e la resistenza contro le mafie.
L’arte come strumento di denuncia
L’iniziativa non è stata una semplice esposizione, ma un vero e proprio laboratorio di coscienza civile. Amari graffi nell’anima ha utilizzato pittura, collage, fotografia, danza, teatro, musica e video per raccontare la criminalità organizzata e i suoi intrecci con il potere. Il messaggio è stato chiaro: la mafia non è un fenomeno lontano, ma un sistema radicato nelle istituzioni, un male che si nutre della nostra indifferenza.
L’arte è diventata così un’arma di resistenza. Le installazioni e le performance hanno guidato il pubblico in un percorso suddiviso in sei tappe, ognuna dedicata a un aspetto specifico del fenomeno della criminalità organizzata: dalle stragi di Stato al martirio di uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita per la giustizia, dai silenzi istituzionali alle connivenze politiche.
L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori era ambizioso: trasformare la mostra in un punto di partenza per una marcia di liberazione collettiva, spingendo ogni visitatore a interrogarsi sul proprio ruolo nella lotta contro la mafia.
Da Capaci alla trattativa Stato-mafia: il filo rosso della resistenza
Il legame tra arte e impegno civile non è nuovo. La memoria delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il sacrificio di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la voce degli attivisti antimafia, tutto è confluito in questa iniziativa che, attraverso il linguaggio artistico, ha riproposto la necessità di una ribellione etica e culturale.
Una delle tematiche più urgenti è stata quella della trattativa Stato-mafia, un nodo irrisolto della storia italiana. Un tema che ancora oggi divide l’opinione pubblica e su cui la giustizia ha faticato a fare piena luce.
Nel 2023, la Corte di Cassazione ha confermato l’esistenza di una pressione mafiosa nei confronti dello Stato per modificare il regime carcerario del 41 bis, lo strumento più temuto da Cosa Nostra. Tuttavia, lo stesso processo ha visto l’assoluzione di alcune figure istituzionali, lasciando ancora aperte molte domande sulla catena di responsabilità politiche.
Nel percorso espositivo, una delle tappe più toccanti è stata dedicata proprio ai pentiti di mafia, uomini che hanno scelto di collaborare con la giustizia nonostante la certezza di una condanna a morte da parte dell’organizzazione. Tra questi, oltre a Mutolo, ci sono figure chiave come Tommaso Buscetta, il primo grande collaboratore che rivelò la struttura di Cosa Nostra ai magistrati del Maxiprocesso, e Giovanni Brusca, l’uomo che premette il telecomando della strage di Capaci, poi divenuto collaboratore e liberato nel 2021 dopo 25 anni di carcere.
Questi racconti hanno sollevato il dibattito su un punto cruciale: quanto lo Stato è davvero pronto a proteggere i collaboratori di giustizia? Le rivelazioni di Mutolo e di altri pentiti hanno spesso portato alla luce verità scomode, tanto da mettere in crisi il sistema stesso. Negli ultimi anni abbiamo visto passi indietro preoccupanti in tal senso. Una delle ultime misure coercitive nei confronti dei pentiti consiste nella decisione dell’Agenzia delle entrate che risponde direttamente al ministero dell’economia e delle finanze, di confiscare i capitali dei collaboratori di giustizia, utili per rifarsi una vita.
Un nuovo modo di fare antimafia: cooperazione, etica e inclusività
Amari graffi nell’anima non si è limitata a una denuncia sterile, ma ha proposto un modello alternativo di impegno collettivo. L’evento è nato dalla volontà di creare connessioni tra gruppi e individui che condividono gli stessi valori, promuovendo un approccio basato sulla cooperazione, l’etica e l’inclusività.
Grande attenzione è stata riservata anche alla sostenibilità ambientale e alla riqualificazione degli spazi urbani, dimostrando come la lotta alla mafia passi anche attraverso un ripensamento del territorio e delle sue dinamiche sociali. Il progetto, inoltre, ha offerto una vetrina ai giovani artisti, permettendo loro di esprimere attraverso le loro opere la necessità di un cambiamento profondo.
Un’esperienza che ha trasformato: il finale inaspettato
Ciò che ha reso unica questa mostra è stato il suo finale imprevedibile. Il pubblico non è stato spettatore passivo, ma è stato coinvolto in un viaggio che, come un antico percorso alchemico, lo ha trasformato. L’obiettivo era chiaro: uscire dalla mostra con una nuova consapevolezza e con la volontà concreta di prendere parte alla lotta contro il sistema mafioso.
Nel Paese in cui le stragi rimangono senza mandanti, i processi si arenano e la memoria si dissolve, eventi come questo sono più che mai necessari. Perché l’arte, quando si fa denuncia e resistenza, può essere lo strumento più potente per risvegliare le coscienze e costruire una società libera dalle mafie.
Amari graffi nell’anima non è stato solo un evento artistico. È stato un’occasione per scegliere da che parte stare. E chi vi ha partecipato sa che la lotta continua.
Foto © Collettivo Casa Giovani del Sole
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