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La cerniera tra colletti bianchi e criminalità non esiste: è tutto un sistema mafioso che prevede la cointeressenza di diversi settori della società, anche della più - apparentemente - pulita.
Dopo la clamorosa operazione di polizia che ha disvelato, in provincia di Messina, i rapporti di interesse tra professionisti e clan mafiosi, è lecito pensare che in Sicilia questi “incroci” di interessi tra ambienti diversi siano saldamente rodati e quindi di difficile lettura per le indagini: la capacità di mimetizzazione è, fondatamente, alla base di tutto.
La costa tirrenica siciliana, il messinese in particolare, è da sempre stata terreno fertile per gli affari sporchi e la corruzione; una provincia silenziosa, apparentemente, ma in cui vivono felicemente insieme da tempo immemore mafia, massoneria, politica ed economia. Quella che un tempo veniva definita la provincia “babba” (in siciliano stupida) oggi, merita il titolo di provincia furba, furbissima anzi.
Barcellona Pozzo di Gotto in particolare, quella che la commissione antimafia definì “la Corleone del XXI secolo”, paese del giornalista Beppe Alfano, è un luogo dove la mafia pericolosa e stragista ha da sempre trovato il proprio luogo ideale dove agire e prosperare con propaggini che si estendono a tutta la provincia e a tutta la regione.
Nel giro di pochi kilometri, arrivando alla città metropolitana di Messina lo scenario cambia: la criminalità organizzata messinese, nella massima parte dei suoi clan, è "assoggettata" alla famiglia catanese Romeo-Santapaola, come ha recentemente spiegato la Direzione investigativa antimafia nella sua relazione semestrale, fornendo la radiografia dei clan e dei mandamenti presenti in città, di alleanze, influenze e affari.
Nel capoluogo peloritano opererebbe una “cellula” di cosa nostra catanese, riconducibile ai Romeo-Santapaola, sovraordinata ai gruppi autoctoni, la cui operatività sembrerebbe caratterizzata dalla divisione dei quartieri con una sola eccezione registrata nel rione Giostra. Tale contesto territoriale, connotato da una presenza criminale in continua evoluzione, sarebbe storicamente appannaggio del clan Galli-Tibia, solitamente dedito all’organizzazione di corse clandestine di cavalli, al narcotraffico in collaborazione con consorterie catanesi e calabresi, alle scommesse illegali, nonché alla gestione di attività commerciali. Di particolare rilievo è la circostanza, spiegata dalla Dia, della nascita di un nuovo clan mafioso facente capo a due ex collaboratori di giustizia interessati al controllo di attività economiche e in contrapposizione con lo storico clan Galli.
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