Le parole del capo ultras ai pm direttamente dall'ospedale San Raffaele, dopo aver ucciso Bellocco
Il 4 settembre scorso, all’Ospedale San Raffaele di Milano, i pm Paolo Storari e Sara Ombra interrogano Andrea Beretta, ex capo della Curva Nord e ora collaboratore di giustizia, dopo che ha ucciso a coltellate Antonio Bellocco, socio negli affari dello stadio Meazza e membro di una potente famiglia della ’Ndrangheta di Rosarno. Beretta ha detto di aver agito per legittima difesa, convinto che Bellocco volesse eliminarlo per motivi economici legati agli affari dello stadio. Durante l'interrogatorio, Beretta decide di rilasciare dichiarazioni spontanee, rivelando dettagli inediti. Tra questi, accusa non solo Bellocco ma anche Marco Ferdico, un vecchio amico e frontman della Curva Nord, di essere coinvolto nel complotto per assassinarlo.
"Con Ferdico – inizia Beretta – ci conosciamo da 30 anni, giocavamo a calcio insieme (…). Lo so benissimo che non è dalla mia parte, me l’hanno detto perché c’era in mezzo anche lui in questa cosa qua, che lui voleva farmi l’azione (…). Ho notato che questa roba qua della Curva ti porta alla pazzia (…), perché pensano di essere dei personaggi, fanno le foto con la gente, non lo so (…). Dei mitomani”. “E questo porta al punto, mi perdoni, di tradire un’amicizia di trent’anni?”, chiede Storari. “Secondo me sì – risponde Beretta -. Più che una questione di soldi (…) è una questione di potere, non voleva fare il mio secondo”. Chi ha riferito a Beretta che anche Ferdico assieme a Bellocco stava dietro al progetto di ucciderlo? Chi lo ha avvertito in diretta del progetto omicidiario. Un soggetto prima amico, poi nemico, poi ancora amico. “All’inizio pensavo di no, dopo si è rivelata”, continua Beretta. “Una persona amica”, dice Storari. La sua identià è omissata. Per quel che risulta è lui ad avvertire Beretta, ed è sempre lui che prima doveva partecipare al blitz per farlo fuori. Non solo, è presente all’ultimo incontro di luglio nel garage di Bellocco.
“Io sono quattro giorni che non dormo, vengo a sapere che questa gente qui, mi vogliono fare un agguato con diverse modalità, e questa cosa si è protratta, già da un po’ di tempo la studiavano, solo che era andata a monte - continua Beretta -. Io ero sotto pressione. Vivevo in uno stato d’assedio (…), non trovavo una via d’uscita, ed è successo questo bordello”. Beretta spiea inoltre il progetto pensato per farlo fuori: “Volevano portarmi in un posto, tipo farmi bere delle robe nel caffè, delle gocce, io arrivavo a questa macchina, e perdevo i sensi, mi tiravano, mi sotterravano e la mia macchina la portavano a Nizza, visto che noi siamo gemellati con il Nizza, e inscenavano che io fossi scappato da tutte queste robe”. Una lupara bianca in pieno stile mafioso.
“Gli tiro fuori la pistola e gli dico: adesso parliamo di quello che mi volete fare, vi ho smascherati (…) mi sono rotto i coglioni di stare sotto pressione. Perché non ci stavo dentro (…). Volevo chiedere spiegazioni, trovare una soluzione, ma una soluzione non c’era”, dice Beretta riferendosi alla mattina del 4 settembre, quando davanti alla palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio incontra Bellocco e sale sulla sua Smart bianca. Anche perché chi gli racconta del progetto gli fa capire che “prima o poi arrivano” e “quando ho cercato il confronto, ho visto che lui (Bellocco, ndr) aveva il borsello, prima che è armato gli faccio capire: guarda che voglio parlare. Invece lui s’è alterato (…). E lì lui è partito, mi è venuto addosso: adesso t’ammazzo i figli”, urla Bellocco. Il calabrese allora sfila la pistola a Beretta che a quel punto, spiega, salta fuori dall’auto. Qui viene colpito. L’arma perde il caricatore. Beretta rientra: “Prima l’ho preso a pugni”, poi prende il coltello. Riesce e rientra. Il pm: “Perché è tornato dentro, in macchina?”. Beretta: “Per finirlo. Per forza, non è che c’avevo altra chance, morte sua, vita mia”.
Ma il piano di far sparire il corpo di Beretta inizia molto prima, a luglio. L’ex capo ultras viene chiamato a Pioltello nel garage di Bellocco per capire come spartirsi i soldi del merchandising perché “questa gente qua non è mai contenta, vogliono accaparrarsi tutto, sono nate delle discussioni sul negozio”, il We are Milano di Pioltello gestito da Beretta, e “questi dicevano che non tornavano i conti (…). Quell’ Antonio mi fa fare un appuntamento con un suo parente nei box di casa sua. E questo qui era latitante (…). Vogliono mettermi sotto (…). E io gli ho detto: guarda che l’accordo tuo è che solo tu di quella regione (Calabria, ndr) fai parte di noi, tutto il resto che ti circonda, non me ne frega un cazzo (…). Volevano aprire un negozio a Milano alle mie spalle, capito? Entro (nel garage di Bellocco, ndr) e mi trovo questo qua con Antonio”. Ricorda poi che “la presenza di Bellocco era legata alla protezione” perché “sono venuti tantissimi calabresi, siciliani (…). Vogliono tutti il business, vogliono prendersi il business, capito?”. E ancora: “Sono venuti dei calabresi, ma io poi non è che sto li a guardare (…). Questa è una cosa che ci teniamo noi, cosa venite, voi con i borselli, con le Hogan a fare gli scontri, a tifare la squadra?”.
Quando il pm torna sull’omicidio di Vittorio Boiocchi, il vecchio capo dei Boys rientrato in curva nel 2018 e ucciso il 29 ottobre 2022, chiede: “Mi perdoni, c’è una correlazione tra la morte di Baiocchi e l’avvento di Bellocco? Perché temporalmente questa cosa esiste, è fuori discussione”. Beretta dice di non voler rispondere, forse un’altra volta. E Storari lo avverte: “Qui la situazione si fa grigia, perché insomma ha ammazzato uno della famiglia Bellocco. Beretta, non stia a metà strada, o fa la scelta legittima e dice: io mi chiudo, non dico niente, e ci sta; oppure, se fa la scelta opposta, però dev’essere totale la scelta”. Beretta si pentirà poche settimane dopo.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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