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Per comprendere la strage di Piazza Fontana che il pomeriggio del 12 dicembre 1969 dilaniò il cuore di Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88, è necessario “analizzare il contesto storico”. E come questo, poi, leghi passato e presente con un filo diretto. A riavvolgere il nastro di quella terribile tragedia è stata la giornalista Stefania Limiti durante un’intervista realizzata da due giovani membri del movimento AttivamenteAndrea La Torre e Simone Basta, in occasione del 55° anniversario di Piazza Fontana.
Nel 1969 in Italia era attivo, già da tempo, un blocco politico e sociale reazionario del quale facevano parte gli ex repubblichini; quindi, gli ex arnesi del regime fascista che non si erano arresi alla bruciante sconfitta subita dalla resistenza e dall'Italia democratica - ha detto la giornalista -. E insieme a loro vi era un insieme di forze che odiavano la Costituzione”. Era il trade union tra il movimento sociale, i gruppi eversivi della destra, quindi Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, “insieme ad un ad esponenti politici anche significativi della Dc e una parte delle gerarchie vaticane”. “Tutto questo - ha spiegato Limiti - costituiva un blocco politico molto reazionario che non voleva assolutamente vivere nell'Italia antifascista e quindi si era riproposto in varie forme di attaccare lo Stato per arrivare ad una rottura traumatica dell'ordine pubblico attraverso la dichiarazione di uno stato di emergenza, che quindi blocca tutte le garanzie istituzionali”. L’intento fu quello di instaurare un governo golpista. “Questo era l'obiettivo di coloro che hanno messo la bomba a Piazza Fontana”.
Erano anni di fervore per il Paese. La Seconda guerra mondiale era ormai una pagina di storia. La ricostruzione e lo sviluppo del Paese acceleravano a piè sospinto. Ed erano anni di lotta. “Inizia un percorso di conflitto di classe e di scontro sociale che fu intensissimo, bellissimo, che portò a grandi riforme significative - ha aggiunto la giornalista -. Un pezzo importante dell'Italia, il mondo del lavoro, gli studenti, le donne, chiedevano partecipazione e chiedevano anche di poter avere la loro fetta della ricchezza nazionale creata con il loro il loro sudore nelle campagne e nelle fabbriche. Questo grande ciclo di lotte sociali aveva portato ad uno scontro tra padroni e operai, si diceva allora, ma in realtà erano due mondi contrapposti che vedevano da un lato i partiti progressisti, il Partito Comunista, e dall'altro invece questo blocco politico di destra che non intendeva affatto cedere nulla e che anzi voleva in tutti i modi reprimere questo movimento. Ed è quello che accade”. Il 12 dicembre 1969, se non ci fosse stata la strage, probabilmente sarebbe passato alla storia “per la prima approvazione, in un ramo del Parlamento, dello Statuto dei Lavoratori, che era uno dei frutti di quelle grandi lotte”.
La risposta che viene data a questo grande movimento della società italiana - ha aggiunto -, che ripeto aveva scelto da che parte stare, aveva indicato la via di una maggiore redistribuzione del reddito, la via di una maggiore uguaglianza, la via dei diritti ecc, questo è un massacro con una strage. L’Italia democratica, che era in movimento, doveva capire che c’era un contropotere attivo che aveva lavorato per bloccare questo progresso”. “Questo è il significato storico della strage di Piazza Fontana. La violenza stragista fu una violenza pensata e organizzata. Non è il momento criminale di qualcuno che vuole agire per vendicarsi di qualcosa. Ha una natura profondamente politica. Sta a dimostrare che qualcuno sta dicendo: ‘Noi siamo questo e vogliamo questo’. Piazza Fontana sostanzialmente dà fiato a quella parte di destra della società che anziché essere isolata e marginalizzata e sempre di più indebolita, anche perché la nostra Costituzione si fonda su un patto antifascista”.

Foto © Imagoeconomica

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