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Sistemi di sicurezza violati e tecnologie avanzate per costruire dossier. L'hacker coinvolto: “Non parlo, violerei segreti di Stato”

Nel caso Equalize, la società di investigazioni private con sede a Milano, emerge di tutto: secondo l'inchiesta condotta dalla Procura di Milano e dalla Direzione Distrettuale Antimafia, l'azienda avrebbe raccolto illecitamente informazioni riservate su un numero elevatissimo di persone, tra cui politici, imprenditori e altre figure di rilievo. Tra i principali indagati figurano Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera Milano e titolare del 95% delle quote di Equalize, che si è autosospeso dal ruolo; l'ex poliziotto Carmine Gallo, socio di minoranza della società e ritenuto il “braccio operativo” del sistema; e Nunzio Samuele Calamucci, esperto informatico e socio di Equalize, che avrebbe sviluppato strumenti per accedere illegalmente a banche dati riservate. Secondo gli investigatori, Equalize utilizzava tecniche avanzate per accedere a banche dati riservate, come il Sistema di Indagine (SDI) delle forze dell'ordine, l'INPS e l'Agenzia delle Entrate. Le informazioni raccolte venivano poi organizzate in veri e propri dossier, spesso destinati alla vendita a organizzazioni o individui disposti a pagare ingenti somme in cambio di dati capaci di influenzare decisioni politiche, economiche, oppure utili per screditare altre persone.
Il caso è apparso fin da subito molto delicato. Tuttavia, stando alle ultime informazioni, la situazione sembra farsi ancora più complessa, poiché nella vicenda risulterebbero coinvolti anche alcuni funzionari della Presidenza del Consiglio. L'indagine condotta dalla Procura di Milano si concentra anche su una segnalazione dei carabinieri di Varese fatta l'11 ottobre 2022. Nell’informativa i carabinieri facevano riferimento ad alcuni incontri avvenuti tra funzionari della Presidenza del Consiglio e alcuni rappresentanti di Equalize. È stata proprio la presenza di questi funzionari a suggerire che l'attività della società milanese andasse ben oltre il semplice spionaggio privato, arrivando a toccare anche interessi pubblici o di natura istituzionale. Dalle indagini, non solo è emerso il livello di riservatezza che accompagnava le comunicazioni tra le persone coinvolte, basti pensare che l’ex poliziotto Gallo utilizzava un telefono criptato con tecnologia israeliana, ma anche il presunto coinvolgimento in un’attività volta a proteggere e schermare qualcuno dalle indagini delle autorità. Circostanza, quest’ultima confermata da alcune intercettazioni avvenute circa un mese dopo gli incontri, in cui si parlava di aiutare alcune persone a non essere indagate dalla magistratura.
In particolare, sono stati intercettati mentre discutevano dei loro obiettivi Nunzio Calamucci e Massimiliano Camponovo. Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, i carabinieri hanno precisato che il loro scopo principale sarebbe quello di “mantenere attiva la vigilanza” su due individui, Domenico Furfaro e Marzio Egidio Buscaglia, “al fine - spiegano i carabinieri - di garantire una close protection a un soggetto (ancora da identificare) legato ai servizi di intelligence”. La close protection è un servizio di protezione personale destinato a chi necessita di un alto livello di sicurezza e, in questo caso, il soggetto in questione avrebbe legami con i servizi segreti. Inoltre, sempre secondo i carabinieri, Calamucci avrebbe affermato che il report su Furfaro e Buscaglia dovrà essere “consegnato all’intelligence dal cliente finale, che gode di una ‘protezione’ contro eventuali inchieste giudiziarie”. Inoltre, Calamucci sostiene di essere entrato in possesso di informazioni riservate e “atti secretati presenti presso la Procura di Roma”. Ad ogni modo, Calamucci, intercettato li 14 novembre, un mese dopo la presenza di alcuni funzionari di Palazzo Chigi all’interno degli uffici di Equalize, sostiene che il report dovrà essere consegnato a “quelli” della Presidenza del Consiglio. Una circostanza particolarmente rilevante, anche se si considera che, intercettato, Calamucci conclude spiegando: “Su Roma abbiamo controllato noi, in Procura non c’è nulla”.
A confermare un quadro particolarmente preoccupante, arrivano anche le parole di Gabriele Edmondo Pegoraro, esperto informatico anche lui finito al centro dell’inchiesta condotta dalla Procura di Milano. Pegoraro, infatti, avrebbe installato software trojan e violato i dispositivi di alcuni manager e giornalisti per raccogliere dati e informazioni sensibili. Nonostante le accuse, Pegoraro sostiene di aver operato per conto dello Stato e di aver avuto un ruolo marginale in questa vicenda. Intervistato dal Fatto Quotidiano, che gli ha chiesto di approfondire la questione, Pegoraro ha precisato: “Non posso entrare nel dettaglio perché ho collaborato con le agenzie”. Ha aggiunto che si tratta di servizi d’intelligence, in particolare “nel settore della Difesa”. Successivamente ha chiarito di non poter “violare segreti di Stato legati alla sicurezza del Paese”, lasciando dunque ai magistrati il compito di verificare la veridicità delle sue dichiarazioni.
Pegoraro è indagato non solo dalla Procura di Milano, ma anche da quella di Torino per un presunto caso di spionaggio industriale ai danni dell’azienda KeraKoll. Le due procure hanno individuato collegamenti tra le rispettive indagini, rilevando punti in comune nelle attività di spionaggio. Nel caso sono coinvolti anche Daniele Rovini e Lorenzo Di Iulio, definiti dai carabinieri come “general contractor” del gruppo. I due avrebbero gestito i dati trafugati e proseguito nelle operazioni illecite, nonostante le indagini in corso, con il supporto di Pegoraro. Nel dicembre 2022, quando il gruppo è venuto a conoscenza delle indagini su Rovini e altri membri, avrebbe cancellato immediatamente tutte le chat dai propri dispositivi, nel tentativo di eliminare le prove delle attività svolte. Le competenze di Pegoraro, che attestano il suo profilo di alto livello, sono sottolineate anche dai carabinieri, che lo descrivono come uno degli hacker più abili in Italia, con alle spalle collaborazioni con procure e forze dell’ordine in importanti operazioni antiterrorismo. Nelle fatture della Bitcorp, società di intercettazioni per cui Pegoraro lavorava, figurano come clienti istituzioni di rilievo, quali il Comando delle forze speciali dell’esercito, la Direzione investigativa antimafia e diverse procure, confermando il suo ruolo di consulente per le istituzioni italiane.

Foto © Imagoeconomica

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