La banda spiava chiunque, nell’archivio 800mila dossier che poi venivano messi in vendita. La Dna: “Ci vorrà molto tempo per delineare i contorni della vicenda”
Sbirciavano dall’uscio della porta della classe dirigente italiana e puntavano a condizionare le scelte dei parlamentari grazie all’immensa mole di mail e documenti intercettati, fascicolati e conservati in cassaforte. E’ la dimensione inquietante dei fatti emersi dall’inchiesta della Dda di Milano e della Dna che ha portato agli arresti domiciliari Carmine Gallo - ex poliziotto di alto profilo noto per le sue indagini contro la ’ndrangheta in Lombardia -, l’amministratore delegato della Equalize, società di investigazione privata del presidente di Fondazione Fiera, Enrico Pazzali (ora indagato), Nunzio Samuele Calamucci, Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli, titolari o soci di aziende collegate e specializzate nella sicurezza e nell'informatica. Ottocentomila sono i fascicoli rubati allo Sdi, la banca dati interforze del ministero dell’Interno, su cittadini comuni, imprenditori, professionisti. Trafugata anche la storia privata dei politici e delle loro famiglie. A finire nel mirino della banda, in quella che si sta rivelando la Santabarbara della politica a livello nazionale, risultano anche le cariche più alte dello Stato: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Senato Ignazio La Russa.
Si tratta infatti di migliaia di accessi a informazioni riservatissime nel corso degli ultimi anni e che potrebbero aver messo "a nudo" la vita di un numero imprecisato di personalità non solo della politica ma anche dell’economia italiana, a favore di chi sarebbe stato disposto a pagare profumatamente per quelle informazioni.
“Abbiamo l’oro in mano”, esultava il mago degli accessi informatici, Samuele Calamucci. L’hacker Calamucci, ufficialmente consulente informatico e investigatore privato in affari con l’ex superpoliziotto Carmine Gallo, sarebbe il principale braccio operativo del gruppo che ruotava attorno alla società Equalize di Enrico Pazzali, il presidente di Fondazione Fiera, che si è occupato pure dell'avvocato Piero Amara.
Lo scenario che si sono trovati davanti i magistrati ricorda i migliori film di spionaggio: una stanza nel centro di Milano, in via Pattari 6, a due passi dal Duomo, alcuni computer con maxi schermo sullo sfondo. E poi un appartamento disadorno a Londra avente un paio di scrivanie, un altro computer, anche questo sempre acceso. E ancora un’altra specie di sede operativa a Colchester, contea dell’Essex, sempre in Inghilterra. La banda lavorava sull’asse Milano-Londra, probabilmente per esulare i controlli, e il server si trovava nella capitale britannica perché, diceva Calamucci “se lo fai Italia su Italia, ci mettono le manette, quello è il nostro segreto”. Mica scemi.
Il gruppo era così capace di “bypassare l’alert previsto per deputati, senatori e consiglieri regionali”, raccontava sempre Calamucci, anche quelli posti a protezione della banca dati delle forze di polizia. Di altissimo livello i soggetti monitorati emersi finora nell’indagine. Con Equalize, la società di investigazioni del presidente della Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali e dell’ex poliziotto Carmine Gallo, il gruppo avrebbe intercettato “un indirizzo mail del presidente della Repubblica Sergio Mattarella”, scrive il pm di Milano Francesco De Tommasi. Riuscendo “a utilizzare abusivamente o a clonare l’account del presidente”. Ma tra le vittime di accessi abusivi ci sono anche il presidente del Senato La Russa (e i figli Geronimo e Leonardo), Matteo Renzi, Letizia Moratti, Carlo Sangalli, Paolo Scaroni del Milan. Sono solo alcuni dei circa 800mila spiati.
Gli hacker non avevano problemi, pare, a “bucare” il mondo digitale di senatori, deputati e istituzioni. Un quadro “allarmante - scrive la procura - perché le azioni commesse mettono in pericolo interessi vitali delle istituzioni e della collettività, compromessi da soggetti spregiudicati, scaltri e privi di scrupoli che si muovono nell’oscurità”. Motivo per il quale il pm De Tommasi, con il procuratore capo Marcello Viola e l’aggiunto dell’Antimafia Alessandra Dolci, ha di nuovo chiesto al Riesame il carcere per Gallo, Calamucci e i domiciliari per Pazzali. E per tutti gli altri presunti membri della banda di hacker, “in grado di tenere in pugno cittadini e istituzioni, nonché di condizionare in modo pregiudizievole dinamiche imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie”. Le preoccupazioni della procura sono nette. Secondo i magistrati l’accesso abusivo ai dati - si parla di una mole di dati pari a 15 terabyte - rappresenta “un pericolo per la democrazia di questo Paese”.
Il magistrato Francesco De Tommasi parla di "soggetti pericolosissimi perché, attraverso le attività di dossieraggio abusivo" con “la creazione di vere e proprie banche dati parallele vietate e con la circolazione indiscriminata di notizie informazioni sensibili, riservate e segrete, sono in grado di "tenere in pugno" cittadini e istituzioni" e "condizionare" dinamiche "imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie”. “Con i report che abbiamo noi possiamo sputtanare tutta l’Italia”, affermava Calamucci intercettato dagli inquirenti.
Nei loro database, gli obiettivi sono indicati per colore: rosso, giallo o verde, per monitorare le rispettive posizioni giudiziarie. Lo chiamavano il sistema del “semaforo”. I capocchia del gruppo impartivano ordini su chi hackerare come si impartiscono comande al ristorante: “Fammi La Russa”; “Metti anche un altro se c’è. Come si chiama l’altro figlio? Prova Geronimo La Russa”, dicevano mentre i collaboratori smanettavano al computer sul server “Beyond” alla ricerca di informazioni scottanti. Nel portafoglio clienti che si sarebbero avvalsi dei servizi della società c’erano, tra gli altri, il banchiere Matteo Arpe e Leonardo Del Vecchio Junior di Luxottica (indagati), manager di Erg e della Heineken, un responsabile sicurezza della Barilla. Tra i servizi offerti dalla Equalize c’era anche il monitoraggio del traffico dati dei dipendenti delle società, il phishing attraverso falsi profili Facebook, il controllo e la diffusione di notizie create ad arte per condizionare asset societari.
Negli atti si legge che la "predisposizione dei dossier illegali" va avanti e c'è anche il "rischio" che i dati e le informazioni prelevate vadano in mano "di agenzie straniere e che all'estero possa essere creata e detenuta una banca dati destinata a conservare le informazioni”. Una “circostanza di una certa gravità”, sempre secondo la Procura, è la chiavetta usb di Calamucci, arrestato come presunto capo di un’associazione a delinquere dedita alla creazione di report contenenti dati riservati, cioè “che apparentemente, ad una prima analisi, risultano classificati’, quindi top secret. Tra questi spicca un documento di 43 pagine riconducibile all’Aisi, il servizio segreto italiano interno “riservato” e risalente al 2008-2009 sulle “reti del Jihad globale”. I carabinieri del Ros lo hanno trovato quando l’hacker Nunzio Calamucci ha collegato una sua chiavetta a un pc della società di via Pattari 6 controllato da un Trojan della procura. Dentro c’erano anche 52.811 interrogazioni Sdi del Ced interforze del Viminale. Molte erano “riconducibili” a un ex carabiniere indagato.
Andrea De Donno, altro indagato che garantiva a Equilize i dati degli operatori telefonici sulle posizioni dei telefonini dei target di Gallo, avrebbe anche pensato di consegnare la mole di mail e informazioni riservate nelle mani di un partito politico. Gallo, però, pare non fosse della quale. “Peccato - ribatteva De Donno - perché alla Lega è un bel po’ di tempo che ho proposto sta roba!”. Dichiarava poi Pazzali: “Forza Italia mi ha girato un nominativo da controllare”. Ma secondo la senatrice Licia Ronzulli, citata dal manager come committente, era una millanteria.
Il gruppo aveva anche ragionato su metodi alternativi di condizionamento politico. “Pazzali - scrivono i magistrati - suggerisce una possibile soluzione per la gestione “indolore” delle informazioni/ dossier, ossia creare una società editoriale”. “Non dev’essere collegata alle nostre figure direttamente - pensava Calamucci - . L’importante è che non riconducono il fatto che manipolate le informazioni…”. Idee partorite e abortite dopo poco quando la banda ha capito che gli inquirenti erano sulle loro tracce nel momento in cui hanno scoperto i software delle intercettazioni dei carabinieri installati in alcuni dei loro pc. Regna il panico: “Facciamo sparire tutto”. Gli hacker hanno ripulito i server e distrutto i report per far sparire le prove. Gallo, invece, avrebbe provato a nascondere il suo archivio cartaceo nel garage della segretaria, ma con qualche intoppo. “Non c’ha le chiavi del garage - diceva intercettato - Quindi gli scatoloni li ho portati a casa sua, poi li porta lei giù, non dobbiamo avere nulla qua”. Ora, nonostante buona parte dei membri del gruppo siano stati arrestati politici e imprenditori hanno poco di cui stare tranquilli. La Direzione Nazionale Antimafia invita alla “prudenza perché ci vorrà ancora molto tempo e fatica per delineare i contorni di questa vicenda, che preoccupa sia per dimensione sia per il livello imprenditoriale dei dati personali e riservati”. “Davvero - aggiunge la Dna - stiamo appena cominciando a capire come funziona questo mercato clandestino delle informazioni riservate". La falla, in pratica, è stata solo scoperta ma l’impressione è che non sia stata ancora chiusa. Ammesso, poi, che sia l’unica.
Foto © Imagoeconomica
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