Parla il nipote dell’agente Agostino, ucciso dalla mafia il 5 agosto ’89, dopo la condanna del boss Gaetano Scotto
“A febbraio stava già male, ma aveva voluto essere in aula, per sentire la requisitoria. Poi, la condizioni si aggravarono, ma anche quando era ricoverato continuava a chiedere un permesso ai medici, per seguire ancora le udienze. Mi spiace davvero che lui e la nonna non abbiano fatto in tempo a essere con noi per la fine di questo processo”. Così Nino Morana Agostino, nipote di Vincenzo, padre dell'agente Antonino Agostino, ucciso dalla mafia assieme alla moglie Ida Castelluccio (incinta) il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini.
Il nipote risponde così ai microfoni di Repubblica l'indomani della sentenza di condanna all'ergastolo della Corte d'Appello di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, nei confronti del boss dell'Acquasanta Gaetano Scotto. Assolto, invece, Francesco Paolo Rizzuto, sedicente amico d'infanzia dell'agente Nino Agostino.
Lunedì 7 ottobre, durante l'udienza, era evidente il vuoto lasciato da Vincenzo Agostino e sua moglie Augusta Schiera, che hanno dato la vita per cercare verità e giustizia sulla morte del figlio, della nuora e del bimbo mai nato. Due monumenti dell'antimafia che hanno girato in lungo e in largo per l'Italia per testimoniare il loro dolore, in una incessante corsa contro il tempo, mentre la giustizia camminava lenta e a volte in senso contrario.
"Sono grato alla dottoressa Sava, ai sostituti procuratori generali Domenico Gozzo e Umberto De Giglio, per il loro incessante impegno nella ricerca della verità - ha detto Nino Morana Agostino -. Voglio ringraziare anche l’ex procuratore generale Roberto Scarpinato, che ha sempre sostenuto mio nonno e ha avviato l’avocazione dell’inchiesta che poi ha portato a questo processo". Il giovane Agostino però non si accontenta. Vuole sapere tutta la verità: anche quella riguardante le complicità dello Stato sull'omicidio di suo zio. "Le motivazioni della sentenza d’appello che ha condannato il boss Madonia sono chiarissime: sono stati depistaggi istituzionali, che chiamano in causa precise responsabilità. Qualcuno è morto, qualcun altro è ancora vivo. Le indagini devono proseguire per scoperchiare i sepolcri imbiancati, come li chiamava il nonno".
Durante il processo era anche emerso che Nino Agostino, che all'epoca era in servizio al Commissariato di San Lorenzo di Palermo, raccoglieva informazioni sui latitanti nel territorio del mandamento di Resuttana. "Un fatto importante da risultare decisivo nella valutazione di quella che deve essere la responsabilità di chi faceva parte di questa compagine criminale", avevano spiegato le difese di parti civili, durante le arringhe.
Uscendo all'aula bunker, dopo la sentenza, Nino Morana Agostino ha fatto un appello a Scotto e Madonia: “Dicano tutto quello che sanno, perché i misteri sulla vicenda sono ancora tanti". "Quando è morto mio zio, hanno prelevato mia mamma Flora, ancora minorenne, per andare a prendere i documenti tenuti nell'armadio di mio zio. Nessuno ha mai saputo cosa ci fosse dentro. Non si sa che fine abbiano fatto. Non si sa cosa ci fosse scritto, che fine hanno fatto - ha continuato fuori dall'aula bunker del Pagliarelli -. E questo ha spinto la lotta trentennale dei nonni. Il nonno diceva: 'Mi hanno vietato di leggere questi documenti'. Adesso io aspetto le motivazioni ma ancora non ci è chiaro il ruolo di mio zio con Giovanni Falcone, che indagini svolgeva ad esempio per i servizi segreti e cosa avesse scoperto per essere stato ucciso". Nino si definisce "meno ottimista" dei suoi nonni. "Mi ricordo che una volta, l'ex magistrato Roberto Scarpinato, il 23 maggio di due anni fa aveva dichiarato che i Servizi segreti, quando morì Falcone, entrarono nel suo ufficio, prelevarono appunti elettronici - ha aggiunto -. Appunti sull'operazione militare Gladio, sull'omicidio Piersanti Mattarella e anche sull'omicidio di mio zio Nino Agostino. Quindi, anche Falcone indagava? Sono mie supposizioni. Ma mi piacerebbe avere una risposta...".
Foto © Jamil El Sadi
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