L’autrice dell’inchiesta sul nazifascismo presente dentro Gioventù nazionale intervistata da Our Voice: “L’attenzione si è sposata sul metodo e non sul merito”
“Un giornalista deve poter fare domande. Le domande non devono essere comode perché il giornalista non è il megafono del potere. E se non ottiene risposte, comunque, se vale quanto scritto nella nostra Costituzione, e quindi se i cittadini hanno diritto ad essere informati e i giornalisti hanno il dovere di informare, deve poter ottenere le informazioni necessarie per mostrare le storture del sistema in cui viviamo”. A dirlo è Selena Frasson, fotoreporter di Fanpage.it e autrice dell’inchiesta “Gioventù meloniana”, che ha scoperchiato il fascismo strisciante in seno a Gioventù nazionale: l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia. Selena Frasson ha risposto ad alcune domande sul giornalismo al giorno d’oggi e sullo stato della libertà di informazione in Italia durante uno degli appuntamenti della rassegna “Resistenz3” di Our Voice realizzata a Palermo nei giorni scorsi. Parlando dell’inchiesta su Gioventù nazionale, che ha portato ad alcune dimissioni tra le fila della stessa organizzazione e ha fatto tremare anche il governo Meloni per le immagini imbarazzanti raccolte nell’inchiesta che mostravano espliciti riferimenti al ventennio, al nazismo e all’antisemitismo, Selena Frasson ha tenuto a denunciare la delegittimazione subito dal lavoro svolto insieme ai suoi colleghi da parte di alcuni giornali di destra e dalla maggioranza stessa.
“Subito dopo la pubblicazione dell’inchiesta che ha fatto arrabbiare molto il nostro governo è stata spostata un po’ l’attenzione. Piuttosto che discutere del merito si è concentrati sul metodo. Ed è stato chiaramente un tentativo di delegittimare il lavoro che abbiamo svolto in quanto unità investigativa di Fanpage.it”. Quindi la giornalista ha rivendicato la legittimità del metodo undercover, lo stesso utilizzato da Fanpage.it, che “è un metodo assolutamente legittimo e riconosciuto, usato in tutto il mondo”. “Noi - ha spiegato Frasson - abbiamo deciso di usare questo metodo investigativo, che è sicuramente un metodo estremo che si utilizza laddove altrimenti possibile ottenere risposte”, perché “era imprescindibile per documentare quello che abbiamo mostrato” dato che le “istruzioni che ricevevano i ragazzi quando c’erano i giornalisti erano quelle di rimanere in assoluto silenzio perché i giornalisti vengono visti come dei nemici”.
Infine Frasson ha risposto a una domanda sul tentativo dell’attuale classe dirigente politica di imbavagliare la stampa con emendamenti e decreti legge ad oc con la scusante del garantismo e della tutela della privacy.
“Sia l’accesso agli atti giudiziari che la tutela delle fonti era già regolamentato, quindi la volontà del governo è chiara. Rendere sempre più difficile l’esercizio della libertà di informazione. E’ un disegno limpido”, ha sottolineato la fotoreporter finalista del Premio Morrione. “I giornalisti indipendenti sono sempre meno, ci sono moltissimi colleghi e colleghe che fanno lavoro incredibili da frellenace e che devono affrontare altri problemi oltre la censura ovvero l’autocensura”. Questo perché - ha spiegato - “se un giornalista deve condurre delle indagini da freelance ed esporsi a dei rischi senza un riconoscimento economico sufficiente non ha la possibilità di pagarsi spese legali, qualora venisse denunciato, che seguono a strumenti di pressione”.
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