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Il magistrato intervistato su L'Unità

Il giudice del tribunale di Roma, il magistrato Alfonso Sabella, non usa mezzi termini nel commentare il nuovo Ddl Sicurezza approvato alla Camera il 18 settembre. In un'intervista a L'Unità mette in evidenza numerose criticità della riforma, definendola "reazionaria" e volta a "colpire i più deboli".
"Come non è pensabile nella legge contro i rave party una pena da 3 a 6 anni per chi vi partecipa, altrettanto non è pensabile una pena da 2 a 7 anni per chi occupa abusivamente un immobile così come previsto nel recente ddl, mentre chi spara con una 44 magnum in un luogo pubblico è punito con 103 euro di ammenda", afferma il magistrato, puntando il dito contro l'evidente sproporzione tra le pene per reati di diversa gravità.
Sabella evidenzia come la legge, nata con l'intento di aumentare la sicurezza, in realtà non garantisca né maggiore protezione per i cittadini, né un’efficace deterrenza per i reati. In particolare, Sabella critica la cosiddetta "norma Cicalone", che introduce un'aggravante per i reati commessi nelle immediate vicinanze delle stazioni ferroviarie o della metropolitana. “Se il politico prende una mazzetta vicino a una stazione della metropolitana, c’è l’aggravante. Se io mando a quel paese il mio vicino di casa e lo faccio alla stazione della metro Furio Camillo, anziché farlo nel condominio riunito, commetto un reato ancora più grave. Che senso ha?", sottolinea Sabella, dichiarando che se ne avrà l'opportunità solleverà dubbi di legittimità costituzionale.
Dietro a questo provvedimento, secondo Sabella, c'è una chiara scelta politica, forse reazionaria, protettiva e nazionalista. Quale? Semplice: “Quella di colpire i più deboli – gli immigrati, i carcerati, i dissidenti, i diversi – e favorire la sindrome del Marchese del Grillo. È una scelta politica"
Una scelta che, aggiunge Sabella, è stata "legittimamente adottata da chi ha avuto, e forse anche per questo, il voto dei cittadini”. Anche per questo Sabella ammette che, nonostante le sue idee divergenti, continuerà ad applicare tutte le leggi dello Stato, purché, però, non contrastino apertamente con la Costituzione. "Se necessario, mi appellerò alla Consulta", dichiara con fermezza.
Tra le altre criticità del Ddl, il giudice del Tribunale di Roma solleva forti preoccupazioni riguardo l'articolo che permette agli agenti di pubblica sicurezza di portare armi da fuoco senza licenza, anche fuori servizio. "Stiamo introducendo un milione di armi in Italia senza alcun controllo", avverte. Inoltre, critica la disposizione che lascia ai giudici la decisione se incarcerare o meno madri con figli sotto i 12 mesi. Una scelta che sposterà la responsabilità sui magistrati, piuttosto che sul legislatore.
Riguardo alla possibilità di depenalizzare alcuni reati, il magistrato osserva come la strada intrapresa dal governo sia opposta. Nonostante il ministro della Giustizia Carlo Nordio fosse inizialmente a favore della depenalizzazione, Sabella sottolinea che ora si è limitato all'abolizione del solo abuso d'ufficio. "Pensano di aumentare la sicurezza con nuove pene più severe, ma non è così che si risolvono i problemi".
Infine, Sabella criticando il recente decreto sulle carceri (ma ripensare ad un modello nuovo di carcere, migliorare le condizioni di vivibilità degli istituti di pena. Continuiamo a voler costruire carceri in posti assurdi, allontanando di migliaia di chilometri i detenuti dai loro cari. Come cavolo pensi di risocializzare una persona se gli impedisci di fare persino i colloqui con i suoi familiari?").
Dunque, a suo modo di vedere, si dovrebbe ripensare il modello carcerario, migliorando le condizioni di vita e promuovendo la riabilitazione con lavori concreti, come muratori o idraulici, anziché ceramisti o attori. Un discorso che non può essere comunque generalizzato.
Infine, alla domanda se il discorso della riabilitazione possa riguardare anche i mafiosi, ha risposto: "Purtroppo mi dispiace essere duro e crudo: ci ho sperato per anni che fossero recuperabili ma purtroppo non è così. Gli unici che forse possono cambiare sono quelli entrati casualmente in Cosa Nostra ma non coloro che provengono da famiglie storicamente mafiose; a meno che non decidano di collaborare con la giustizia".

Foto © Imagoeconomica

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