Un anno fa la morte dell’ex capo dello Stato. Fu il regista delle larghe intese, firmò le leggi-porcate di Berlusconi e ostacolò più volte pm indipendenti
Il 22 settembre 2023 fa moriva, a Roma, l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Come per il primo anniversario della scomparsa di Silvio Berlusconi, anche per l’ex capo dello Stato i soliti giornali reverendi hanno riempito pagine d’inchiostro nel piangere uno dei loro più grandi beniamini, omettendo di menzionare la gestione vergognosa del potere che assunse per decenni, prima e dopo la sua salita al Colle. Per questo, pur rispettando il dolore per la scomparsa, non possiamo dimenticare le controversie e il disastroso peso politico dei suoi 61 anni di permanenza nel Palazzo.
Napolitano è stato uno degli esponenti politici più dannosi, controversi e inaccettabili del nostro Paese.
La sua è la storia di un uomo tanto saggio quanto scaltro che ha sempre tifato per la restaurazione. Un politico che, nella sua carriera, ha astutamente seguito la scia dell’establishment corrente fino a diventare esso stesso l’establishment. Non è stato il “Presidente di tutti”, come titola il libro del suo ex segretario al Quirinale, ma il Presidente di pochi, dei soliti noti.
La gioventù fascista, il PCI e l’intolleranza per Berlinguer
Vero gattopardiano, da giovane aveva militato nel Guf (gruppo fascista universitario) a Napoli. E dopo la liberazione, quando era sicuro che il fascismo non sarebbe più tornato, salì sul carro dei vincitori iscrivendosi al Partito Comunista nel novembre 1945. Anche se smarrirà da giovanissimo, ben prima di altri, lo spirito che ispirò il Partito Comunista Italiano. Napolitano è sempre stato un uomo tanto colto quanto scaltro. Entrato in Parlamento nel 1953, nel 1956 elogiò l’intervento dei blindati di Mosca a Budapest contro le masse popolari che si ribellavano alla presenza sovietica in Ungheria. L’invasione provocò 2500 morti. Napolitano obbedendo alla linea del partito e per non rompere con la “casa madre comunista” si schierò con l’URSS, a differenza di altri compagni del PCI come Enrico Berlinguer che dimostrarono perplessità sulla repressione. Per anni cercò di strappare a Berlinguer la guida del Partito Comunista e lo attaccò dopo la storica intervista nel 1981 a Eugenio Scalfari dove l’ex segretario del PCI parlò della “questione morale” come stella polare di chi si occupa di politica. Berlinguer, in quell’occasione, denunciò anche i partiti come “macchine di potere e di clientela”. Espressione che Napolitano criticò in un editoriale su L’Unità.
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Inchieste ingombranti, ci pensa Napolitano
Nel 1992, dopo lo scioglimento del PCI e la fondazione del PDS, venne eletto presidente della Camera dei Deputati. L’anno seguente, in pieno scandalo “Tangentopoli”, alla richiesta di esibizione di atti dei bilanci dei partiti avanzata dalla procura di Milano Napolitano oppose l’immunità di sede, ovvero la garanzia delle Camere per cui la forza pubblica non può accedere senza autorizzazione del loro presidente. Nel 1996 venne nominato Ministro dell’Interno nel governo Prodi. Due anni dopo verrà criticato per non aver fatto sorvegliare Licio Gelli, Gran Maestro della P2, condannato, tra l'altro, per depistaggio sulla Strage di Bologna (Gelli è ritenuto anche finanziatore dei NAR che piazzarono la bomba) e bancarotta fraudolenta nell’inchiesta sul Banco Ambrosiano. Nonostante le ingenti risorse informative del Viminale, il Venerabile lasciò l’Italia indisturbato dopo l’ennesima condanna per il crac dell’Ambrosiano. Nel 2006 venne eletto presidente della Repubblica. Un mese più tardi a Potenza venne arrestato il conte Vittorio Emanuele di Savoia su richiesta del pm Henry John Woodcock. Napolitano difese l’erede dei Savoia, iscritto alla P2, chiedendo al Csm il fascicolo personale del magistrato. E’ la prima volta nella storia che un capo di Stato si scagliasse contro un pm in questo modo per aver svolto le sue funzioni d’ufficio. Una mossa intimidatoria a seguito della quale Woodcock venne isolato dai colleghi e dai suoi capi. Si trattava del primo di tanti episodi con cui Napolitano dimostrò la sua ostilità all’indipendenza della magistratura, di cui era garante. E il suo interventismo, addolcito come correttivo presidenziale.
Trattativa, intercettazioni addio
Il caso più eclatante, però, risale al 16 luglio del 2012 quando l’ex capo di Stato sollevò un conflitto di attribuzione senza precedenti contro la procura di Palermo che, nell'ambito dell'indagine Trattativa Stato - Mafia, intercettò Napolitano al telefono con l'allora ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, al tempo indagato per falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. I magistrati di Palermo, su tutti Antonio Ingroia (padre dell’inchiesta sulla Trattativa), trascinati davanti alla Corte Costituzionale, chiarirono che quelle intercettazioni, indirette e casuali, non erano rilevanti ai fini del procedimento e quindi inutilizzabili. Tuttavia Napolitano chiese - e ottenne - comunque la loro distruzione, scavalcando il binario ordinario indicato dall’art.269, 2° comma del c.p.p.
Nicola Mancino © Imagoeconomica
Ogni volta che ha potuto, ha tentato di intralciare l’indagine del processo sulla trattativa Stato-Mafia. Chiese alla corte d’Appello di Palermo di non essere sentito perché non aveva da riferire “alcuna conoscenza utile al processo”. E quando venne costretto dal giudice Alfredo Montalto a rispondere alle domande dei pm, una decisione che la stampa del tempo denunciò come vilipendio al Presidente, confessò che le stragi di mafia avevano lo scopo di “mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut, perché potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure di custodia in carcere dei mafiosi”. Alla faccia del “non ho nulla da dire”. A fargli le domande era il sostituto procuratore Nino Di Matteo, che era stato appena minacciato di morte da Totò Riina in persona. Anche qui, ennesimo atteggiamento indegno di Napolitano che da presidente del Csm avrebbe dovuto quantomeno esprimere una parola di vicinanza al magistrato. E invece, silenzio radio. Ad ogni modo, le condotte sui generis di Napolitano sul fronte giustizia, e i suoi interventi a gamba tesa sulle inchieste più ingombranti, avevano favorito anche indagati e imputati stranieri. Nel 2012 concesse la grazia al colonnello USA Joseph L. Romano. Lo 007 era stato condannato, assieme ad altri 22 agenti della CIA, per il rapimento ed il sequestro dell’imam Abu Omar, rapito dagli americani e deportato in Egitto dove fu detenuto e torturato per anni.
La firma sulle leggi ad personam di Berlusconi
Napolitano fu il presidente delle larghe intese e dei governi tecnici. Non si limitava a presiedere il Quirinale, ma decideva le sorti politiche imponendo governi. Prima Monti, poi Letta e infine Renzi. In questo senso, nessun presidente della Repubblica è stato dominante come lui. Da Capo dello Stato firmò senza batter ciglio alcune delle leggi-porcate berlusconiane. Tutte leggi ad personam, ovviamente.
Nel 2008 firmò il lodo Alfano sull’immunità delle alte cariche dello Stato (poi bocciata dalla Corte Costituzionale); nel 2009 firmò la legge sullo scudo fiscale senza rinviarla alle Camere; nel 2010 il decreto del governo per riammettere alle regionali della Lombardia e del Lazio le liste del Polo delle Libertà escluse per mancanza dei requisiti di legge; e sempre nel 2010 promulgò la legge sul legittimo impedimento del capo del governo e dei ministri, contestata dai pm di Milano e ritenuta parzialmente incostituzionale dalla Consulta. Durante la sua lunga carriera politica, specialmente durante il mandato al Quirinale, si è circondato di lacchè e ha goduto di un’aura di protezione mediatica totale dei maggiori giornali italiani. Quasi un’adorazione cieca la loro. Ogni critica al presidente della Repubblica era vissuta come vilipendio. Chiunque si azzardasse a contestarlo politicamente è sempre stato guardato con sospetto e criticato a sua volta.
Silvio Berlusconi © Imagoeconomica
Primo Presidente rieletto della storia
A febbraio 2013 ci sono le elezioni politiche, stravinte dal M5S (primo partito in Italia con il 25.56% delle preferenze), dopo un ventennio di Berlusconi e 7 anni di monarchia non ufficiale con Napolitano, il vento del rinnovamento soffiava forte dalle Alpi alla Isole.
Ma il 20 aprile 2013, con grande indignazione degli italiani che speravano in un cambiamento anche al Colle, Napolitano venne di nuovo eletto Presidente (738 voti su 997 votanti al sesto scrutinio).
Una ricandidatura paradossale, evocata solo per scongiurare il nuovo che avanza, cioè il progressista Stefano Rodotà che godeva dell’appoggio dei M5S e di buona parte della base di centro-sinistra. “Accetteremo ogni tua condizione, a patto che tu rimanga”, erano le parole dei partiti che lo imploravano di risalire al Colle.
Napolitano stesso, inizialmente, espresse contrarietà alla sua ricandidatura, definendola ridicola e contraria allo spirito della Costituzione. Alla fine accettò la proposta, ma senza volerlo (o così dicevano i giornali). Un po’ come Giuseppe Garibaldi (Claudio Bisio) nel film “Benvenuto Presidente!”. Ad ogni modo Napolitano sarà l’unico Presidente della Repubblica (prima di Sergio Mattarella) rieletto nella storia della Repubblica. E anche il più vecchio di sempre (si contende il podio solo con l’ex presidente dello Zimbabwe). Resterà al Quirinale 2 anni, che sommati ai 7 precedenti sono praticamente una monarchia. La lunga presidenza di Napolitano ha rappresentato una delle più radicali cesure all’interno della nostra storia repubblicana.
Durante il suo secondo mandato l’ex Presidente Napolitano, che ebbe colpe politiche straordinarie, non cambiò atteggiamento, restò col suo conformismo e con la sua ostilità verso magistrati indipendenti e intraprendenti. Nella sua breve permanenza al Quirinale ebbe tempo di sbianchettare il nome del procuratore Nicola Gratteri dalla lista di ministri proposti da Matteo Renzi per la formazione del governo. Al magistrato era stato proposto il ministero della Giustizia ma Napolitano si oppose e Renzi lo sostituì con Andrea Orlando. Fu uno dei suoi ultimi “colpi di genio”. Lasciò il Colle per l’avanzare dell’età (alla soglia dei 90 anni). Giorgio Napolitano è stato il Capo di Stato che, senza dare troppo nell’occhio, ha trasformato l’Italia in Repubblica Presidenziale attraverso quello che molti hanno definito “golpe bianco” o “colpo di Stato permanente”. Ha favorito un sistema presidenziale non ufficiale fondato sull’esautorazione delle Camere in favore del governo e sulla determinazione dell’indirizzo politico di quest’ultimo da parte del Presidente. In pratica un sovrano, ma senza regno.
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