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Lo storico Enzo Ciconte sul Domani spiega la sottomissione dei pm da parte della maggioranza

Negli ultimi mesi, una serie di eventi ha riacceso il dibattito sul rapporto tra politica e magistratura, sollevando interrogativi inquietanti sullo stato della democrazia in Italia. Fatti che in qualche modo sembrano dar seguito allo scontro tra politica e magistratura che ha caratterizzato l’era di Mani Pulite o il periodo berlusconiano. Si fa sempre più evidente il tentativo di sovrapporre il potere politico a quello giudiziario.

Ne parla in modo approfondito Enzo Ciconte sulle colonne del Domani. In un articolo pubblicato ieri, infatti, lo storico prende in esame tre casi recenti che offrono uno spaccato significativo di questa tendenza.

Il primo riguarda l'arresto del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. Non appena la notizia è circolata, si è scatenata una reazione furiosa da parte della destra, convinta che Toti fosse innocente e che l'arresto fosse un abuso. Un po’ come se la magistratura stesse facendo un colpo di Stato. Questa posizione ha generato “una quantità davvero debordante di articoli contro la procura e il giudice che hanno tenuto prigioniero un innocente - scrive -. Al fondo di tutti i commenti della destra di governo, parlamentare e giornalistica emerge un'idea balzana: sono loro e non sono i giudici a definire i presunti reati”. Eppure, alla fine Toti ha patteggiato la pena, ma ora “nessuno di loro ha chiesto scusa al pm e al giudice, o ha riflettuto sul fatto che Toti era un martire di cartapesta, perché un martire che si rispetti si immola, non patteggia”.

Ciconte poi prende in esame un caso di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica: un'imprenditrice che, dopo essere stata scippata, ha inseguito l’aggressore, lo ha investito con l'auto, e poi è tornata a casa senza prestargli soccorso, lasciandolo morire. Di fronte all’ipotesi di un'accusa di omicidio volontario, una parte della politica ha subito gridato allo scandalo, affermando che non si trattava di omicidio. Anche qui, si nota come alcuni parlamentari sembrino voler sostituire i magistrati nel definire i reati e le pene.

Infine, il terzo fatto riguarda il processo a Matteo Salvini per il caso della nave Open Arms, dove è imputato per sequestro di persona. Nei giorni scorsi la procura di Palermo ha chiesto sei anni di reclusione per il leader della Lega - all’epoca dei fatti Ministro dell’Interno (Governo “giallo—verde”), ma molte figure di spicco della destra, inclusa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si sono affrettate a dichiarare la sua innocenza, ignorando completamente il corso del processo, le indagini svolte e persino il parere il contenuto dell’accusa. Anche qui Ciconte evidenzia come la destra ha già emesso il suo verdetto, rimpiazzando simbolicamente il ruolo della magistratura con il proprio giudizio politico.

Ai tre episodi analizzati dallo storico si potrebbe aggiungere un ultimo caso - non per importanza - che lo scorso anno ha fatto molto discutere: il “Caso La Russa”. Ovvero, l’ipotesi di stupro di cui è accusato Leonardo Apache La Russa, il figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. I fatti sono diversi, ma l’influenza politica è analoga. Ricostruiamo i fatti. La Russa jr è stato accusato da un ex compagna di liceo di averla violentata, mentre lei era incosciente. I fatti risalirebbero al 18 maggio 2023. Più che il presunto stupro, però, ha scandalizzato molto di più l’intervento del Presidente del Senato. In un batter d'occhio, infatti, Ignazio La Russa aveva “interrogato a lungo il figlio”, avuto la “certezza” della sua innocenza a livello penale e fatto pressione sulla Procura della Repubblica verso cui, nella sua lunga attività professionale, ha “sempre riposto fiducia, affinché faccia chiarezza con la maggiore celerità possibile per fugare ogni dubbio”. E come ultima chicca, ha squalificato la denuncia della giovane perché, a detta della seconda carica dello Stato, “una denuncia presentata dopo quaranta giorni dall’avvocato estensore che occupa questo tempo per rimettere insieme i fatti di sicuro lascia molti interrogativi”. In molti si chiesero quale fosse il problema se un padre, appreso che il figlio è indagato con l’ipotesi di accusa di violenza sessuale, commentasse la notizia e lo difendesse. Il problema è che Ignazio La Russa non è un padre qualsiasi, bensì la seconda carica dello Stato.

Tornando a Ciconte, lo storico sottolinea come questi casi dimostrano che non si tratta di uno scontro tra politica e magistratura. Si delinea un tentativo sistematico di delegittimare l’autonomia della magistratura e di sostituirla con un potere politico che pretende di stabilire non solo la colpevolezza o l’innocenza, ma persino la natura dei reati. In questo contesto, i giudici vengono relegati a semplici esecutori di ordini, negando la loro indipendenza costituzionalmente garantita.

La destra italiana ha una lunga tradizione di ostilità verso l’indipendenza della magistratura. Già nel XIX secolo, come ricorda il caso del procuratore generale Diego Tajani, il potere politico interveniva direttamente nelle decisioni giudiziarie, intimando ai magistrati di sospendere i mandati d'arresto quando colpivano figure vicine al potere. Durante il fascismo, la magistratura era apertamente al servizio del regime, come testimoniano i discorsi tenuti dai principali procuratori dell’epoca, che lodavano l’azione del governo nel ridurre la criminalità, asservendo la giustizia agli interessi del regime.

Oggi, è sempre più evidente che una parte della destra in questo Paese aspiri al ritorno di quel modello. Le dichiarazioni dei politici e le continue pressioni per la separazione delle carriere dei magistrati, con il pubblico ministero sotto il controllo del ministro della Giustizia, evocano scenari già visti nel passato. La magistratura autonoma e indipendente, conquistata con la Repubblica e sancita dalla Costituzione, è messa in pericolo da una visione autoritaria del rapporto tra politica e giustizia, dove il potere giudiziario è subordinato a quello politico.

Questo tentativo di subordinare la magistratura alla politica, delegittimandone il ruolo, rappresenta una minaccia per l’equilibrio democratico e per lo stato di diritto in Italia. Un obiettivo che, come se non bastasse, evoca il fantasma del “piano di rinascita democratica” partorito dalla Loggia P2 di Licio Gelli

Foto © Imagoeconomica

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