Leggo oggi nuovi attacchi alla mia persona da parte di individui che, ormai da anni, si dimostrano estremamente ostili nei confronti dei collaboratori di giustizia, sono uomini e donne che, pur facendo parte di associazioni cosiddette “antimafia”, vorrebbero in realtà mettere il bavaglio a quelli come me che, fin dal 1991, hanno dedicato la propria vita a contrastare per davvero la mafia.
Nel mio percorso di collaborazione ho fatto nomi e cognomi, ho raccontato fatti e portato prove di ogni cosa che ho affermato e per ciò ho pagato un prezzo molto alto, mettendo a rischio la vita mia e quella dei miei familiari.
Da come si esprimono nei social, questi signori e queste signore sembrano nutrire nei miei confronti un profondo risentimento per quanto sto facendo oggi, da uomo libero. Vorrebbero che io smettessi di dare il mio contributo nella lotta alla criminalità, vorrebbero che non avessi voce, che non ricevessi spazio né attenzione da parte di media e cittadini. Vorrebbero addirittura che Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, non si dimostrasse mio amico e che non mi abbracciasse pubblicamente, oppure che il Senatore e magistrato Scarpinato mi togliesse il saluto. Meno che mai vorrebbero che andassi nelle scuole a parlare con gli studenti, a raccontare loro la mia vita e i miei errori, allo scopo di scoraggiarli dal perseguire percorsi criminali, che non mettessi in guardia i giovani sui pericoli che essi nascondono. Secondo questi signori e queste signore, io non ho diritto di parola perché in passato sono stato un criminale. E’ vero: lo sono stato, non l’ho mai negato e sono stato il primo collaboratore di giustizia che, a differenza di altri che mi hanno preceduto, ha denunciato anche i crimini commessi personalmente. Ho pagato duramente per i miei errori, ma ora ho cambiato vita. Proprio per questo, nel mio piccolo, sono convinto di poter essere utile continuando a denunciare il male e dimostrando, attraverso le azioni e l’impegno quotidiano, che cambiare si può.
In cuor mio nutro la speranza che altri seguano il mio esempio e che la mafia e tutte le associazioni criminali un giorno vengano finalmente sconfitte.
Proprio in questi giorni, il 30 e il 31 agosto per l’esattezza, sono stato ospite alla loggia del Lionello di Udine per un’intervista pubblica. Mi sono messo a disposizione dei presenti, ho risposto a molte domande. Ho avuto anche l’onore di vivere personalmente un’esperienza immersiva: un viaggio dentro la storia raccontato attraverso l’arte dai ragazzi di Casa Giovani del Sole, collettivo che si occupa di crescita personale, attivismo e informazione. Lo scorso gennaio avevo inoltre dato ai ragazzi la mia disponibilità per preparare all’interno della mostra un servizio fotografico che raccontasse i passaggi più significativi della mia vita.
Puntualmente, in coincidenza con l’evento, i soliti signori e le solite signore ripartono con gli attacchi alla mia persona. Mi incolpano di aver ritrattato le accuse contro Michelangelo Alfano che, a sentir loro, avrei classificato come mafioso. A tal proposito, oggi voglio mostrare pubblicamente i fascicoli che riguardano la mia testimonianza rilasciata nel ‘92 al Sost. Proc. della Repubblica di Palermo Gioacchino Natoli e al Dr. Guido Lo Forte, dove emerge chiarissima la spiegazione che fornisco ai magistrati circa la struttura di Cosa Nostra: spiego come erano costituite le famiglie, chi erano i mafiosi e chi gli affiliati. Come si può vedere nelle foto non ho mai collocato Michelangelo Alfano tra i mafiosi, bensì tra gli affiliati. Questa è stata la mia versione da sempre. Questi signori e queste signore, inoltre mi accusano di inattendibilità, facendo riferimento alle dichiarazioni di Rosario Spatola, al quale avrei suggerito il nome di un certo avvocato Colonna, affinché egli ne facesse il nome per metterlo in cattiva luce durante un processo. A comprova di ciò, su richiesta di Spatola avrei annotato di mio pugno questo nome su un biglietto, perché se ne potesse ricordare al momento opportuno.
Ben tre procure: Roma, Palermo e Catania, hanno svolto indagini su queste affermazioni, ma nessuna di esse è mai riuscita a provare l’esistenza di un tale bigliettino e tanto meno a dimostrare che gli eventi raccontati da Spatola siano realmente accaduti.
Ma chi è Rosario Spatola? Figlio di un maresciallo di polizia, tenta di farsi passare per mafioso, mentre è ben noto che la mafia non arruola neppure i parenti dei vigili urbani. Tuttavia, Spatola si accredita come collaboratore e accusa un numero cospicuo di persone, tra cui il Generale Valentini, comandante del nucleo investigativo di Palermo, il capo della polizia Manganelli, il dottor Angelone del servizio centrale, Nicola Cavaliere capo della squadra mobile di Roma.
Spatola lancia le sue accuse anche contro Bruno Contrada, ma solo dopo che erano state rese note le mie dichiarazioni al riguardo. I giudici, al processo, non credettero alle sue affermazioni, contestandogli il fatto di non aver parlato quando era stato interrogato per la prima volta al riguardo, soprattutto considerata la rilevanza dei fatti. Così, nel 1995, il controverso pentito Rosario Spatola, giudicato inattendibile, è stato definitivamente estromesso dal programma di protezione.
A questo punto la mia domanda è: chi si è servito di Rosario Spatola per tentare di screditare i veri collaboratori di giustizia? Chi ha utilizzato Rosario Spatola per confondere le acque e distogliere l’attenzione dalle dichiarazioni più scottanti dei veri pentiti? Sono forse le stesse persone che ancora oggi cercano di ostacolare le collaborazioni?
Sono 25 anni che questi signori e queste signore tentano in ogni modo di screditare la mia collaborazione oltre che la mia persona. Lo hanno fatto anche attribuendomi l’omicidio dell’agente di polizia Gaetano Cappiello. Anche se a costoro farebbe piacere accusarmi di qualsiasi cosa, le sentenze definitive parlano chiaro: non sono responsabile della morte di Cappiello, così come non sono responsabile di crimini verso uomini dello stato, delle forze dell’ordine e della magistratura, meno che mai verso donne o bambini.
Pertanto, la domanda fondamentale è la seguente: perché questi signori e queste signore vogliono delegittimare i collaboratori di giustizia che hanno rinnegato la mafia? E’ vero che avevamo sbagliato, che avevamo ucciso e fatto tanto male, ma abbiamo anche pagato e continuiamo a pagare un prezzo altissimo. Quelli come me, che hanno cambiato vita, non sono mai più tornati a delinquere, al contrario, si sono messi a disposizione dello Stato, offrendo un contributo essenziale alla lotta contro la mafia, quindi domando per concludere: attaccando noi, la vogliono davvero combattere, la mafia, o sono, piuttosto, nostalgici di Cosa Nostra?
Tratto da: facebook.com
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