Il criminologo Federico Carbone: “Viviamo in un mondo dove l'accesso alla verità è controllato da un’élite”
Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 16-08-2024
Sono trascorsi 29 anni dalla morte di Marco Mandolini, ucciso con 40 coltellate e ritrovato il 13 giugno 1995 con la testa fracassata da un masso sulla scogliera del Romito, a Livorno. La sua storia è ancora avvolta nel mistero, e la sua morte non sembra essere un semplice caso di omicidio: ci sono molti elementi che richiamano le trame dei film di spionaggio. Intelligence, segreti militari, intrighi e possibili insabbiamenti, sono tutti elementi che fanno parte di questa storia. Mandolini era un soldato d’élite, un incursore della Folgore, un reparto speciale dell'esercito italiano. Nel corso della sua carriera ha partecipato a diverse operazioni militari particolarmente delicate. Le sue capacità andavano ben oltre l’uso delle armi: era anche coinvolto in attività del SISMI, i servizi segreti militari italiani, e parlava fluentemente sia l’arabo che il russo. La sua morte è stata segnata da ipotesi infamanti, probabilmente originate da speculazioni su una presunta pista omosessuale, ma queste voci sembrano essere state un tentativo di depistare le indagini. Il caso è stato riaperto grazie a nuove prove che sono emerse grazie al lavoro del criminologo Federico Carbone e dell'avvocato Dino Latini, che assistono la famiglia di Mandolini nella ricerca della verità.
L’indagine, le nuove scoperte e la pista somala
A portare nuova luce sul caso Mandolini sarebbero le informazioni fornite da una fonte confidenziale vicina alla CIA. Si tratta di una donna, ex ufficiale dell'esercito americano, che operava a Camp Darby, la quale avrebbe rivelato al criminologo Federico Carbone che la CIA era a conoscenza dell'omicidio di Mandolini già un giorno prima che avvenisse. La donna, che sembra conoscere molti dettagli, avrebbe anche fornito informazioni relative all'attentato di Capaci, in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone. La fonte ha spiegato che la ragione per cui ha deciso di condividere queste informazioni è di natura personale. Infatti, ha spiegato di essersi identificata nel fratello di Mandolini, il quale, insieme alla famiglia, è da anni alla ricerca di verità e giustizia. Questo perché anche lei ha perso due fratelli, entrambi morti in Somalia in circostanze particolari durante operazioni militari. Durante l'ultimo periodo della sua vita, Marco Mandolini aveva deciso di avviare un'indagine informale sulla morte di un suo collega e amico, Vincenzo Li Causi, un altro militare appartenente alla VII Divisione del SISMI, anch'egli ucciso in circostanze misteriose in Somalia nel 1993. Inoltre, desta ulteriore sorpresa il fatto che Li Causi lavorasse in una base nota come "Skorpione" a Trapani, collegata all’operazione segreta Gladio.
Uno scatto d'archivio di Vincenzo Li Causi (a destra), tratta dal libro "Skorpio. Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto"
Gladio e la rete “Stay Behind”
Gladio, ufficialmente parte della rete “Stay Behind” legata alla NATO, era una struttura segreta creata per contrastare una possibile invasione sovietica durante la Guerra Fredda. Tuttavia, numerose indagini e testimonianze suggeriscono che le sue attività si siano estese ben oltre questo scopo ufficiale. Si parla infatti di un coinvolgimento di Gladio in diverse operazioni clandestine, inclusi tentativi di colpi di stato, omicidi politici e operazioni di destabilizzazione, che avrebbero incluso alleanze con elementi deviati dei servizi segreti e con la mafia. Sebbene questa organizzazione segreta sia stata formalmente sciolta nel 1990, alcuni documenti pubblicati dalla rivista “TPI” indicano che Gladio avrebbe continuato a operare anche successivamente, attraverso l'impiego di agenti esterni non ufficiali. Tra gli aspetti più controversi legati al coinvolgimento di Gladio, vi è anche l’attentato all’Addaura del 1989 contro Giovanni Falcone. Documenti segreti suggeriscono infatti che membri della struttura Gladio, in particolare il centro “Scorpione” di Trapani, dove ha operato anche l’amico di Mandolini, Vincenzo Li Causi, potrebbero aver avuto un ruolo in questo attentato. D'altronde, lo stesso Falcone stava indagando su Gladio e sospettava che dietro questa organizzazione segreta si celassero interessi occulti intrecciati con quelli della mafia.
Gladio e quelle presenze anomale in Somalia
Sebbene l'organizzazione segreta Gladio sia stata formalmente sciolta nel 1990, diversi anni dopo sono emersi documenti segreti dagli archivi del Sios Marina (un ex servizio d’intelligence della Marina militare). Questi documenti, oltre a essere riconducibili alle attività svolte da Gladio, includono anche messaggi codificati che si riferiscono a “presenze anomale” in Somalia, proprio nei giorni in cui la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin si trovavano nel Paese. Nel 1994, infatti, Alpi stava indagando su possibili traffici di armi e rifiuti tossici tra l'Italia e la Somalia, che potevano coinvolgere anche figure militari e governative italiane: un'inchiesta che, forse, avrebbe potuto rivelare dettagli compromettenti su alcune operazioni clandestine gestite dai servizi segreti. I documenti fanno riferimento a operazioni militari in Somalia, con specifici ordini inviati a uomini identificati con nomi in codice per proteggere le loro identità. Alcuni nomi, invece, sono stati resi illeggibili con un tratto di pennarello nero. Tuttavia, alcuni restano riconoscibili e identificabili, come quello di “Vicari”, alias Vincenzo Li Causi, o quello di “Jupiter”, alias Giuseppe Cammisa, braccio destro di Francesco Cardella, il co-fondatore della Comunità Saman insieme a Mauro Rostagno, anch’egli giornalista ucciso nel 1988 in un agguato mafioso a Lenzi, in provincia di Trapani. Infine, un altro nome di battaglia ha destato molto interesse, ed è quello di “Condor”, che potrebbe riferirsi a Marco Mandolini. La giornalista Ilaria Alpi potrebbe aver scoperto dettagli compromettenti su traffici illeciti che riguardano membri di Gladio o della P2? Li Causi e Mandolini potrebbero essere stati eliminati per impedire che rivelassero informazioni compromettenti riguardanti operazioni segrete come Gladio o traffici illeciti collegati ai servizi segreti? Ad ogni modo, esiste un filo conduttore che lega le loro morti, avvenute tutte in circostanze sospette, e questo sembra essere la Somalia.
Licio Gelli: “Io conoscevo bene Gladio”
“Io e Cossiga eravamo intimi amici: lui aveva la Gladio, io avevo la P2, e Andreotti aveva l’organizzazione chiamata ‘Anello’. Conoscevo molto bene Gladio, ma dell’Anello so solo che usavano un anello come segno di riconoscimento durante le riunioni”. Sono state queste sono le parole rilasciate da Licio Gelli durante una vecchia intervista. Gelli è una figura controversa nella storia italiana del dopoguerra, legata a numerosi eventi oscuri. Capo della Loggia Massonica Propaganda Due (P2), Gelli ha esercitato una notevole influenza sul mondo politico e sulle istituzioni, perseguendo un’agenda che mirava a sovvertire l’assetto costituzionale del Paese. Tra gli aspetti più sinistri del suo operato vi sarebbe anche il coinvolgimento nella tristemente nota “Strategia della Tensione”, un periodo segnato da attentati e azioni violente che avevano come obiettivo quello di promuovere una svolta autoritaria in Italia. In questo contesto, Gelli e la P2 sono stati accusati di essere coinvolti nella strage di Bologna del 2 agosto 1980, che provocò 85 morti e circa 200 feriti. Tuttavia, ciò che dovrebbe far riflettere è il cosiddetto “Piano di Rinascita Democratica” della P2, un documento scoperto negli anni '80 che delineava un programma per riformare le istituzioni italiane, compresa la magistratura, con l’obiettivo di concentrare il potere nelle mani di pochi. Alcuni aspetti di questo piano sembrano riecheggiare nelle riforme della giustizia più recenti.
Negli ultimi tempi, un certo tipo di retorica che accusa la magistratura di interferire nella politica, anche attraverso processi mediatici, sembra aver influenzato le ultime riforme in materia di giustizia, in particolare quella promossa dal ministro Carlo Nordio. In molti hanno avuto l'impressione che la tendenza attuale sia quella di limitare progressivamente l'indipendenza della magistratura, evocando inevitabilmente un parallelo con alcuni punti del Piano di Rinascita Democratica voluto dalla P2. Questo piano puntava, tra le altre cose, a ridurre l'autonomia di vari settori dello Stato, inclusi i media e le istituzioni democratiche, a favore di un controllo centralizzato, in cui il ruolo del popolo sarebbe stato progressivamente ridotto a vantaggio delle élite.
Federico Carbone: “Mandolini ucciso perché sapeva troppo”
Il criminologo Federico Carbone ha lavorato come consulente per la famiglia Mandolini, e grazie al suo impegno è emerso che il paracadutista della Folgore era strettamente legato a Vincenzo Li Causi, ucciso in Somalia nel 1993 in circostanze misteriose. Secondo Carbone, Mandolini avrebbe condotto indagini personali sulla morte del suo amico e collega, raccogliendo documenti che dimostrerebbero un collegamento tra lui, Li Causi e la giornalista Ilaria Alpi. La vicenda di Mandolini è stata riaperta nel 2021 proprio grazie al lavoro di Carbone, il quale ha portato alla luce nuovi elementi, dimostrando che il delitto potrebbe far parte di un più ampio contesto di trame occulte legate a Gladio e alla Falange Armata, una sua formazione semi-clandestina.
Ancora una volta, gli ingredienti principali di questa vicenda, che segna un’epoca di segreti e manipolazioni, sembrano essere il mondo delle operazioni segrete, fatto di potere, mistero e tanta omertà. Pochi giorni fa, Carbone è tornato sulla vicenda, sottolineando in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook che viviamo in un mondo dove l'accesso alla verità è controllato da un’élite, e questo controllo si estende a un'ampia gamma di conoscenze che vengono tenute lontane dal pubblico. “Viviamo in un'epoca in cui pochi eletti controllano l'accesso a conoscenze riservate, e tra queste conoscenze vi è la verità sulla morte di Marco Mandolini. In questo contesto - ha scritto Carbone - qualsiasi forma di censura del pensiero o della parola è inaccettabile. La nostra percezione della realtà è così distorta che ci troviamo in mezzo a una crisi globale della coscienza. Dobbiamo superare la paura delle cosiddette ‘teorie del complotto pericolose’ e aprirci a discutere tutte le idee, anche quelle che possono sembrare stravaganti. Non possiamo permettere che chi commette errori o ha credenze non convenzionali venga emarginato, a meno che non ci sia l'intenzione di ingannare. Solo attraverso un dialogo aperto possiamo sperare di recuperare la verità, dopo secoli di inganni collettivi.” - prosegue - “Ricordate: i pericoli della ‘disinformazione’ sono insignificanti rispetto all'ignoranza che ci avvolge riguardo alla vera natura della realtà e del nostro posto nell'Universo. Quando ci dicono che la censura è per la nostra ‘sicurezza’, dobbiamo ricordare che chi detiene il potere farà di tutto per mantenere il controllo, persino creare minacce inesistenti. La paura ci tiene addormentati, ma il coraggio e il dialogo aperto sono la chiave per risvegliare l'umanità”.
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