E’ possibile e Danilo Dolci lo ha dimostrato: anche in un contesto geografico limitato, è possibile identificare le necessità legate alla gestione dell’acqua, in maniera democratica e partecipata, e poi attuarle. Non c'è una ricetta generale applicabile, e questo va sottolineato, ma la strada segnata da Danilo Dolci nei primi anni ’60 in Sicilia (proprio nella terra che oggi soffre maggiormente il problema siccità) è una delle poche vie di fuga da un problema che, necessariamente, sarà una delle sfide dei prossimi decenni: un problema che al di là della sua specificità, riguarda la gestione dei beni comuni, quindi della attuazione di processi democratici.
Danilo, già dalla fine degli anni ’50, riesce prima a far capire agli agricoltori come la mancanza d'acqua fosse un problema per il loro benessere, con loro - grazie a loro- riesce a trovare la soluzione: la costruzione di un invaso sul fiume Jato, costruito con i fondi della Cassa del Mezzogiorno che da quel momento sarà gestito in maniera cooperativa dagli agricoltori, una gestione condivisa e cooperativa. Danilo identifica le necessità di un territorio-quelle che chiama “leve per il cambiamento”- con la popolazione locale in un dialogo costante e coraggioso: già in una Sicilia arretrata per tanti versi, tra Trappeto e Partinico si ragionava su come la scienza e la politica dovrebbero guardare al bene comune più scarso, ma più prezioso, a livello globale, ieri come oggi.
Cosa rimane di quella lezione oggi? Ben poco a guardare la “non- gestione” dell’acqua nell’isola: in un groviglio criminale fatto di interessi economici, mancanza di programmazione e di investimenti sulle infrastrutture.
Oggi sembriamo essere giunti ad un punto di non ritorno, la percezione è netta, con una agricoltura in ginocchio, tantissimi posti di lavoro a rischio e una convivenza sociale messa a dura prova a causa della mancanza ormai periodica, sia in città che nei piccoli centri, di acqua.
La scarsità di piogge è un dato di fatto, ma la crisi idrica è a questi livelli per la mancanza di politiche quantomeno “civili” sul tema. La Sicilia è terra di paradossi, da sempre, e in questa crisi ci sono situazioni, seppur nella loro gravità, davvero paradossali: dighe le cui riserve piene ma la cui acqua deve essere sversata nel mare, quindi buttata via per motivi di sicurezza poichè l’acqua nella diga non può raggiungere un certo livello. Livello che viene superato ogni qual volta piove. A questo punto si è obbligati ad aprire le paratie dell’invaso per sversare l’acqua che va a finire in mare. Uno spreco insomma (proprio come quelli che denunciava Danilo Dolci in uno dei sui più celebri scritti) che avrà fine quando saranno effettuati i lavori per la messa in sicurezza delle infrastrutture.
Quel 27 febbraio del 1963, con l’inizio dei lavori per la diga sul fiume Jato, iniziò una battaglia di civiltà, di democrazia e di legalità, una di quelle lezioni che oggi come non mai avremmo il dovere, non solo morale, di recuperare e di tenere come fonte di ispirazione in un percorso di pace e sviluppo. Ma ci riusciremo? Danilo e i suoi contadini hanno segnato la strada…
La gestione dell'acqua nella grande lezione di Dolci
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- Alberto Castiglione