Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il Corriere della Sera e le omissioni, oltre a qualche inesattezza, sull’omicidio Pasolini

Si chiama Ombre Italiane – Cosa sappiamo ed è la nuova serie di articoli firmati da Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera sui casi irrisolti italiani. Lo scorso 21 luglio (domenica) il collega ha deciso di dedicare “una puntata” della serie all’omicidio Pasolini. E fin qui tutto bene: rianimare il dibattito su una vicenda irrisolta che ancora ci perseguita come quella che ha visto massacrato lo scrittore regista e (soprattutto negli ultimi periodi della sua vita) giornalista d’inchiesta, Pier Paolo Pasolini nella notte tra il 1° e il 2 novembre del ’75 è sicuramente cosa positiva. Tuttavia, nel farlo si dovrebbe essere meno approssimativi di quanto scritto su un quotidiano così influente ancora oggi come quando vi scriveva i suoi articoli corsari sulle stragi Pasolini, se non si vuole semplicemente attuare un esercizio di stile sulla pelle di un omicidio così grave avvenuto durante la nostra prima infestata Repubblica durante il climax della strategia della tensione.
Sciascia scriveva, in un libro dedicato al potere e alla sua rappresentazione (“Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia” Einaudi 1977) che al netto delle nostre intenzioni e dei nostri rimorsi, dunque, uscendo dalla perifrasi letteraria, al netto delle nostre percezioni e delle nostre personali convinzioni, i fatti restano incontrovertibili. Anche quelli che emergono a distanza di anni dagli accadimenti, aggiungo io. Il Caso Pasolini resta, nella selva dei fattacci tremendi accaduti in Italia che ancora ci inseguono, perché dal punto di vista giudiziario perennemente irrisolti, il più suscettibile di interpretazioni depistanti anche in buona fede, per quanto quelle in malafede per varie ragioni certo non manchino. Questo accade solo per un motivo, perché nonostante tutto lo scrittore nell’animo di molti in fondo “se l’è cercata”. Tale risposta, rilasciata da Giulio Andreotti a un giornalista alla notizia dell’omicidio dello scrittore, è rimasta impressa per molto tempo come simbolo arretrato e sanguinario di questa Nazione. Nel 1993, alla notizia dell’iscrizione dell’ex sette volte premier Giulio Andreotti nel registro degli indagati come indagato per mafia, l’ex DC si scusa con lo scrittore per quella frase. Un atto significativo post mortem forse opportunistico come quello rivolto a Pasolini anche da tanti intellettuali dopo il massacro (da Calvino a Umberto Eco passando per il poeta Sanguineti). Non si è scusato, invece Adriano Sofri quando, ancora nel 2005, in un ritratto su un inserto de La Repubblica definiva Pasolini più che un letterato e un intellettuale e soprattutto in relazione a Petrolio (il romanzo incompiuto pubblicato dopo 17 anni dall’omicidio) uno interessato al coito, al membro. Ma su Repubblica Sofri preferì la parola più volgare che qui non ripeto. Questo nonostante Pasolini avesse ricevuto comunicazione giudiziaria nei suoi confronti come direttore di Lotta continua (LC) per fare un favore al movimento extra parlamentare in nome della libertà di stampa (non del pensiero comune che con LC non condivideva). Pensa se si fosse rifiutato. Ma su questo torniamo dopo perché è una questione legata al cosiddetto “dossier” dei servizi segreti su Pasolini.
Veniamo all’articolo di Bianconi e passiamo direttamente ai fatti senza “ambiguità” come insegna sempre Sciascia.
Nell’esergo in forma corsiva, vengono ricapitolati i fatti principali relativi all’omicidio: il fatto, le conclusioni delle inchieste e delle risposte giudiziarie: “Le inchieste e i processi seguiti al delitto si sono limitati ad accertare la colpevolezza di quel minorenne”.

Fact Checking 1°: (a) le inchieste preliminari o istruttorie (a seconda dell’anno) successive al processo che portò all’unica condanna di Pelosi, in tutto 4, non accertarono “l’unica colpevolezza” di Pelosi, in quanto le inchieste preliminari non accertano un bel niente. Indagano su elementi nuovi di un caso che non è prescritto e decidono se andare a processo o meno. Gli elementi anche depistanti (come da me indagato scritto e dimostrato in ben due libri e in diversi articoli) emersi in quelle stesse inchieste dicono solo che non c’erano abbastanza elementi per andare a processo, come avrebbe potuto decidere un Giudice per le indagini preliminari a esempio dalla metà degli anni '80 in poi (due delle inchieste istruttorie si sono svolte nel 1985 e nel 1995). E questo avviene soprattutto nell’ultima indagine romana durata ben 5 anni (2010-2015). (b): non ci sono stati “i processi”, ma un unico processo si è svolto a partire dal 1976 che in cassazione, nel 1979, ha sì deciso per l’unica colpevolezza di Pelosi ma è grazie al giudizio di primo grado promulgato da una giuria presieduta da Alfredo Carlo Moro (fratello dello statista Aldo rapito sequestrato e poi ucciso solo 3 anni dopo), quello che attestò “il concorso con ignoti”, per cui è possibile giuridicamente (ed è stato possibile per ben 4 volte tra il 1900 e il 2000) ancora indagare in procura su un caso d’omicidio come quello avvenuto contro Pasolini.

Fact Checking 2° e omissioni: la richiesta dell’avvocato Stefano Maccioni - che irritualmente si è costituito come avvocato di parte civile per soggetti altri e non per i familiari della vittima (i quali a partire dal primo grado del processo si sono purtroppo poi ritirati come parte civile dell’omicidio come ricerca della verità giudiziaria, non ne hanno più voluto sapere) - comprendeva anche la richiesta di sentire Maurizio Abbatino ex boss della Banda della Magliana (banda che quando fu ucciso Pasolini ancora non esisteva). Abbatino in Commissione Antimafia, durante le indagini volute dalla deputata del M5S Stefania Ascari in un comitato ristretto dei tanti approntati nella precedente Commissione, e ancor più dettagliatamente alla sottoscritta in un articolo su L’Espresso, ha dichiarato pur dando, a fronte di domande dettagliate maggiori particolari sui tempi e sui luoghi, come fosse certo di essere stato coinvolto nel recupero delle bobine di Salò (espediente per condurre Pasolini all’idroscalo e come tale anche indagato nelle ultime indagini romane). Nell’articolo (ben visibile on line a tutti sin da subito: clicca qui) scrivevo che la questione è un po' più complessa del furto delle bobine in sé, oltre al fatto che si contesta con un documento pubblicato che Abbatino la notte infame dell’idroscalo era in carcere. Si nota leggendo l’articolo del Corriere, come la Procura, e giustamente, sia stata compulsata più volte prima di redigerlo. Ma, nonostante ciò, non compare ciò che è avvenuto ormai ad aprile. E cioè che la stessa procura ha aperto un fascicolo per diffamazione contro due persone all’indomani della trasmissione condotta dal compianto Andrea Purgatori dal titolo, Pasolini, un caso aperto. Una notizia sicuramente coperta da segreto istruttorio per un po' ma che ormai è nota come lo stesso legale di Abbatino, Rosario Scognamiglio, ha confermato in un post e alla sottoscritta. L’intervista a me rilasciata ufficialmente da Abbatino, con l’approvazione del Ministero afferente (in quanto Abbatino è di nuovo protetto come collaboratore di giustizia dopo i cinque anni di Mafia Capitale passati senza protezione) è piena di particolari e distingue quello che è possibile estrarre dalle sue parole dai fatti. Soprattutto, se davvero volesse la Procura, che può decidere di promuovere un’indagine anche senza una richiesta di parte, sarebbe possibile sì interrogarlo su ulteriori cose che potrebbe ricordare Abbatino, perché da quella intervista emergono due fasi del furto di Salò nelle quali fu coinvolta la criminalità micro e macro: a) il furto stesso presso gli stabilimenti alla Tiburtina nel quale l’ex Freddo non sarebbe stato coinvolto perché in prigione, e b) il recupero di sole 4 o 5 bobine del film Salò rubate ad agosto insieme ad altre (che servì molto probabilmente per portare “a dama” Pasolini all’idroscalo, cioè per incastrarlo) in un luogo altro dagli stabilimenti deposito della Tiburtina. A definire meglio la questione dell’espediente non sessuale (come indicato invece da Bianconi) ma legato alle bobine rubate, è un semplice fatto: Pasolini non si avventurava in quei giorni di notte all’idroscalo e questo chi ha orchestrato la trappola lo sapeva. Inoltre, diverse sono le fonti che indicano come fossero importanti da recuperare allora per Pasolini le pizze del film. Lo stesso Pelosi negli ultimi anni parlò delle bobine come esca.


pasolini pp battaglia letizia milano 1972

© Archivio Letizia Battaglia


Una preparazione all’agguato al quale “l’ex rana” partecipò, come confermano le testimonianze del tempo anche citate dal Corriere ma parzialmente collegate alla storia. Rimane certo la contraddittorietà del documento pubblicato su L’Espresso (documento ufficiale del Dipartimento amministrazione penale – DAP) rispetto alle dichiarazioni di Abbatino riferite in buona fede per quanto possa io testimoniare, ma anche definite tali dall’ex magistrato Lupacchini. Documento che vede da maggio a novembre del 1975 in carcere Abbatino, motivo per il quale l’avvocato ha potuto presentare querela in procura rispetto a quanto dichiarato in trasmissione da Purgatori. Perché rimane la contraddittorietà? Perché il furto presso gli stabilimenti della Technicolor è avvenuto nella settimana di Ferragosto del 1975 e nonostante questo Abbatino si dice pronto a collaborare confermando il suo ruolo nel recupero delle pellicole, negando invece il suo ruolo nell’agguato quella notte o la partecipazione all’omicidio. Al tempo non sapeva, infatti, Abbatino, secondo quanto a me dichiarato, che quella a cui partecipò potesse essere la fase del recupero anche perché sappiamo negli schemi di sempre come non tutti i “coinvolti” nella operazione come quella dedicata a Pasolini fossero consapevoli del reale motivo per il quale vennero coinvolti. Ti chiedono di accompagnare dei tizi a recuperare qualcosa non chiedi perché né percome: era ed è la legge criminale come quella microcriminale che ha guidato Pelosi quella sera a fronte di un pagamento di 300 mila lire per poter condurre Pasolini al recupero finale delle pizze sapendo che ci sarebbe stato un agguato. L’unica spiegazione è, secondo chi scrive - che di queste cose si è appunto occupata nel dettaglio - che quel recupero Abbatino l’abbia fatto (insieme ad altri come sempre dichiarato alla sottoscritta) nel 1976 anno in cui (verso maggio) un ex agente di Polizia e del Sisde (come dallo stesso a me confermato sempre in una intervista sul settimanale OGGI nel 2022), Nicola Longo, recuperò su richiesta della produzione di Fellini tutte le bobine anche quelle di Salò. Abbatino è sicuro di quello che dice e sottolinea nella intervista poi come per lui l’estate iniziasse da maggio. Ma questi fatti, l’avvocato Maccioni certamente “indomito inseguitore di nuovi indizi” (si legge nell’articolo) li ha considerati nella sua richiesta alla procura? Magari potevano essere nuovi rispetto a quelli presentati (che appunto anche tra gli altri erano stati già analizzati nella precedente indagine). Anche la pista del furto di Salò fu seguita nella inchiesta durante il 2011 ma senza questi nuovi elementi. Secondo gli investigatori era possibile che l’espediente fosse stato il furto di Salò, così come – si legge nelle informative del Ros – era possibile che ci fossero altri complici oltre a Pelosi. Com’è noto a fronte di mancanza di nuovi indizi probanti non è possibile riaprire le indagini. E qui tra il 2022 e il 2023 almeno (se non prima) di indizi concreti ce n’erano.

Fact Checking: “Altri magistrati invece, mentre indagavano sulla strage di piazza della Loggia a Brescia del 1974 hanno recuperato un documento che dimostra come i servizi segreti dell’epoca si interessassero all’attività di Pasolini”, recita l’articolo. Questa notizia la diede l’avvocato Andrea Speranzoni, legale di parte civile delle vittime della strage alla stazione di Bologna, nel libro Pasolini, un omicidio politico (Castelvecchi editore 2017), facendo riferimento a un dossier dei servizi estratto dalle carte del processo di Brescia che contengono elementi di tutti i tipi (tanto è stata lunga e copiosa quella inchiesta che vede oggi più filoni per più processi paralleli) Il numero del dossier è il 2942. In realtà un dossier dei servizi – secondo quanto appreso da chi scrive quando le indagini della procura romana erano in corso – circolava già durante l’inchiesta (sempre 2010-2015) ma la Procura non ha mai chiesto ai servizi di acquisirlo. La vicenda, rinvenuta da Speranzoni, sull’attenzione data da parte del SID a Pasolini era in riferimento a un documento che attestava l’interesse su Lotta Continua da parte dei servizi nel periodo delle stragi e soprattutto durante la realizzazione del film 12 dicembre al quale Pasolini sebbene in disaccordo con LC prese parte, sfilandosi poi dalla regia e mantenendo l’idea. Così dichiarò in una intervista Pasolini a proposito del film (Mi sembra tutto un castello di mezze verità, di mezze bugie, in cui i veri colpevoli non compaiono mai. E anche per questo ho deciso di fare il film, per aiutare a scoprire la verità. […] mi sono messo nello stato d’animo dell’investigatore, mi sono aperto a tutto (30 dicembre 1970). Per Pasolini la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) era diventato un pallino fisso. Da investigatore appunto. Meglio, da giornalista d’inchiesta. Le omissioni, le sviste e le inesattezze rispetto a questi fatti nell’articolo sono parecchie. Infatti: il documento sull’attenzione data dal Sid a Pasolini attesta solo quello che era normale al tempo, ossia monitorare chi finanziava LC. Ed è per questo che non può essere “il dossier” dei servizi su Pasolini. Il vero dossier invece poteva essere quello che convogliava le lettere scambiate tra Pasolini e Giovanni Ventura tra il marzo e l’ottobre del 1975, ex neofascista in carcere preventivo durante i processi sulla strage che cercava di attirare a sé in generale gli alti scranni della sinistra culturale. E anche la documentazione afferente alla strage di Piazza Fontana nella parte mai desecretata o fatta sparire. Ventura lavorava proprio per il SID nello schema di infiltrazione nella sinistra parlamentare (dapprima) extra parlamentare poi e culturale pure con la creazione di nuovi programmi editoriali e finanziari. Schema adottato da SID e UAAR (Ufficio affari riservati) insieme al tempo in apparente sfida tra loro per depistare nelle indagini sulle stragi e nascondere il proprio coinvolgimento. Che fosse intercettato Ventura su quelle lettere da me scoperte e pubblicate nel 2015 (e poi nel 2020 insieme ad altri documenti) me lo ha confermato l’ex capo del SID stesso Gianadelio Maletti in uno scambio mail prima che morisse tra le altre cose (vedi L’inchiesta spezzata di Pasolini, Ponte alle Grazie). Anche queste sono fonti e molto specifiche per il caso in questione ma guarda caso non vengono citate. Maletti ha anche confessato nello scambio di e-mail che Pasolini veniva considerato scomodo e pericoloso dal Sid. Infatti, fu intercettato sempre dal SID poche settimane prima dell’omicidio e Pasolini lo sapeva in quanto in una telefonata con un giornalista poco prima di essere ucciso dichiarò apertamente che era sotto controllo e che era minacciato. Le prove delle intercettazioni anche ci sono (da me rinvenute e riportate nel mio lavoro tutto) e anche queste potevano essere gli elementi nuovi da portare in una richiesta di apertura. Ma tant’è.

Fact Checking: Un altro pezzo dell’articolo afferma: “l’Alfa Romeo GT di Pasolini utilizzata per finire la vittima dopo l’aggressione, a bordo della quale fu fermato Pelosi, risulta rottamata su disposizione di una cugina erede del proprietario”. Eppure, nel dicembre del 2021 ho dimostrato con un articolo su Il Fatto Quotidiano come anche questo assunto non sia veritiero ormai, visto che l’Alfa GT 2000 da me ritrovata in pezzi a Varese è stata a lungo non demolita (1981-2020) e a tutt’oggi il nuovo proprietario la sta restaurando. Nel dispositivo di archiviazione delle indagini del 2015 è scritto chiaramente che manca l’Alfa GT per espletare le indagini ulteriori sui reperti. La verità è che tutti se ne vollero sbarazzare e che però i fatti sono più forti delle imprecisioni, omissioni, inesattezze in buona fede e della volontà di liberarsi di questa storia. A Bianconi va dato atto invece della volontà di rinverdire il dibattito su questa complessa e dolorosa vicenda tutta italiana.
E non siamo ancora al 2025, anno del 50nario dall’omicidio. Ne leggeremo e sentiremo delle belle, tutto pur di non riportare i fatti - nuovi o vecchi che siano - che non contengano il “diverso e il contrario” o “ambiguità” per tornare a Sciascia, che nel suo libello L’Affaire Moro dedicò con commozione le prime pagine al suo amico Pier Paolo Pasolini.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos