In un video inedito dei solchi sul fondale del Tirreno indicano possibili rimozioni di elementi cruciali per le indagini
Sono trascorsi 44 anni dal 27 giugno 1980, giorno in cui l’aereo DC-9 dell’Itavia, decollato da Bologna e diretto a Palermo, si inabissò nelle acque del mar Tirreno meridionale, nel tratto compreso tra l’isola di Ponza e Ustica. Nell'incidente persero la vita 81 persone: 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Nonostante i processi e il trascorrere degli anni, i responsabili di questo disastro, tristemente noto come la strage di Ustica, non sono mai stati individuati. È probabile che ciò sia dovuto a dei veri e propri depistaggi, forse orchestrati dai vertici dell’Aeronautica militare italiana. Martedì 25 giugno, uno speciale trasmesso in diretta su Rai 3 e condotto da Massimo Giletti, dal Museo per la Memoria di Ustica di Bologna, ha provato a ricostruire quanto avvenuto al volo Itavia IH-870. Durante la puntata intitolata “Speciale Ustica: una breccia nel muro” sono stati presentati documenti inediti, testimonianze e analisi, nel tentativo di fare luce su uno degli eventi più oscuri della storia dell’aviazione civile italiana. Presenti durante la trasmissione, oltre ai familiari delle vittime del disastro aereo, anche l’Associazione Parenti delle vittime della strage di Ustica con Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione, e Daniele Osnago, avvocato dei familiari delle vittime. “Avremmo dovuto trovare le bobine di registrazione. Ci furono mandate - ha ribadito l’avvocato - ma l’Aeronautica militare le fece sparire.” - prosegue - “Arrivano a Trapani dei carabinieri, la valigetta con le registrazioni fu scambiata e quando arrivò dal magistrato era vuota. Fortunatamente sono scampate le stampe di queste registrazioni, ma sono tutte tagliate”.
La teoria della bomba
Durante la trasmissione non sono mancati diversi momenti di tensione dovuti principalmente alla tesi della bomba posizionata nel bagno dell’aeromobile, sostenuta con forza dal generale in pensione dell’Aeronautica militare, Leonardo Tricarico. Tesi che ha avviato un acceso dibattito in diretta tv tra il generale in pensione e l’avvocato Osnago, che ha più volte invitato il generale a “togliersi quel ghigno dalla faccia perché sono morte 81 persone, ma lei - ha proseguito - continua a falsare la verità”. In effetti, la teoria della bomba a bordo è stata ampiamente smentita anche dai fatti e dai reperti recuperati sul fondale del mar Tirreno, come l’asse del water della toilette, rimasto integro nonostante la presunta deflagrazione dell’esplosivo. Alle parole dell’avvocato Osnago si sono aggiunte anche quelle pronunciate dalla presidente dell’Associazione Parenti delle vittime della strage di Ustica, Daria Bonfietti: “Anche se il generale Tricarico sostiene il contrario, anni di indagini hanno confermato i vari tentativi di depistaggio”, perpetrati anche attraverso “la distruzione delle prove”. E ancora: “Mi dispiace che alcuni generali dell’Aeronautica non l’abbiano capito - ha tuonato Bonfietti - ma le cause della strage di Ustica sono state scritte dal giudice Rosario Priore, che cito: ‘Il DC-9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea’. E’ stata dimostrata la presenza di aerei nel cielo di Ustica: aerei americani, francesi, inglesi e belgi, alcuni dei quali con il transponder spento. Oggi - ha ribadito Bonfietti - dobbiamo andare avanti, non possiamo continuare a sentire il generale Tricarico che si ostina a non riconoscere la colpevolezza dell’Aeronautica militare”.
La testimonianza di un ex maresciallo
Dopo le parole dell'ex premier Giuliano Amato, rilasciate durante un’intervista con il quotidiano “La Repubblica”, in cui ha affermato: “La versione più credibile è quella della responsabilità dell'aeronautica francese con la complicità degli americani e di chi partecipò alla guerra aerea nei nostri cieli la sera di quel 27 giugno”, è giunta un'altra testimonianza durante la trasmissione di Rai 3, quella dell'ex maresciallo Giuseppe Dioguardi, che ha parlato di un documento riservato affidatogli per essere consegnato nelle mani del ministro Giovanni Spadolini. “Arrivo a casa di Spadolini e, dopo qualche minuto, gli consegno questo documento che il ministro avrebbe dovuto firmare, richiudere in una busta e successivamente io avrei dovuto riportarlo a Roma. Ma il ministro - ha raccontato Dioguardi - legge questo documento, si arrabbia e sbatte un pugno sul tavolo. Dopodiché, fa una telefonata e io, per correttezza, mi allontano ed esco dalla stanza. Sento che fa una telefonata abbastanza complicata; dice: ‘No, io non te la firmo’. Poi, chiude la telefonata, mi chiama e mi dice: ‘Io mi fido di te, leggi questa relazione’. Si trattava di una relazione del SISMI, dove si affermava che due aerei Mirage e un Tomcat americano erano intervenuti in questa vicenda perché ‘interessati’ all’aereo MiG libico”. E aggiunge: “Chiaramente non ho letto tutta la relazione, ma solo i frammenti che il ministro mi ha indicato. Poi, Spadolini mi dice questa frase: ‘Giuseppe, ricorda, non c’è niente di più schifoso dei generali che vogliono fare i politici’. Successivamente, mi reco a Roma e comunico che il documento è stato compromesso, perché io non avevo l’autorizzazione a leggerlo; ero solo un corriere”. Prosegue: “Sono passati molti anni e non so che fine abbia fatto quel documento. Gli uomini del giudice Priori hanno provato a cercarlo, ma non avevano l’autorizzazione necessaria. Infatti, come detto anche al magistrato Maria Monteleone, sono arrivati a cinque centimetri reali dal documento, ma non hanno potuto prenderlo”.
Il MiG libico e le tracce sul fondale marino del Tirreno
Tra le evidenze che allontanano ulteriormente l’ipotesi di una bomba a bordo dell’aereo DC-9 dell’Itavia, emergono nuove prove e testimonianze che potrebbero confermare i depistaggi. Tra questi elementi, risalta la testimonianza di Filippo Di Benedetto, un caporale di leva nel 1980. Di Benedetto ha riferito di essere stato inviato, insieme ad altri militari, il 28 giugno a presidiare un aereo militare libico caduto sulla Sila, nell'Appennino calabro. All'arrivo, Di Benedetto ha visto il corpo senza vita del pilota riverso sulla cloche. Tuttavia, il corpo scompare misteriosamente per poi ricomparire il 18 luglio. Un evento ricco di mistero, che ha impedito di collegare immediatamente il MiG libico alla possibile battaglia aerea del 27 giugno. Ulteriori dubbi sono emersi dai risultati dell’autopsia eseguita sul corpo del pilota, illustrati chiaramente da Anselmo Zorlo, il medico legale responsabile. “La cosa che ci colpì subito fu la decomposizione del cadavere, che sembrava risalire a più di cinque giorni. Questo fa pensare che l’incidente possa essere avvenuto molto prima di quanto dichiarato. Ricordo un particolare - ha sottolineato Zorlo - quando un ufficiale, arrivato per prendere le impronte digitali, prese la mano del pilota libico, la pelle si rovesciò come fosse un guanto. Evidentemente, lo stato colliquativo dei tessuti risale a molto prima dei cinque giorni comunicati nella prima perizia”. Inoltre, i nidi di larve presenti nel corpo del pilota indicavano “che la morte risaliva ad almeno venti giorni prima”. Ma il mistero si infittisce ulteriormente quando Giletti mostra le immagini di un filmato inedito. Queste riprese mostrano il fondale marino vicino a Ustica, dove sono visibili alcuni solchi. L'ipotesi avanzata è che qualcuno sia arrivato segretamente prima della missione ufficiale per rimuovere prove che avrebbero potuto chiarire la dinamica dei fatti.
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