Francesco Tarantino è un palermitano con una lunghissima storia sindacale alle spalle: un impegno professionale e privato il suo, che gli ha permesso di raccogliere storie, esperienze e conoscenze tutte entrate - in qualche modo - in questo suo primo romanzo,“Smafiato” (Francesco Tarantino, Smafiato, Book Sprint, 126 pagine, 17 euro).
La storia è ambientata tra gli anni Sessanta e Settanta in un quartiere marinaro di Palermo.
La narrazione è proposta in prima persona ma non si tratta di una autobiografia: è la storia di una intera generazione nata e cresciuta in un ambiente in cui il mondo di sopra (la relativa serenità economica appena conquistata dai genitori con i primi segni del benessere, la casa acquistata con i duri sacrifici di una vita di lavoro, la possibilità di frequentare la scuola superiore ) si incontra e spesso si intreccia con il mondo di sotto; con la mafia onnipresente e pervasiva della quale, per paura neanche si parla, ma nei cui confronti v'è sostanziale e silenziosa accettazione.
Guido, il protagonista, si allontana, anche con difficoltà, dall'ambiente in cui è nato e cresciuto: è un allontanamento che assume le sembianze del rifiuto a quella violenza che è parte predominante della sottocultura mafiosa. La scomparsa di Coluccio, un aspirante “picciotto” di mafia che non ha saputo stare alle regole e si è bruciato toccando ciò che non poteva toccare, è il punto di avvio del racconto: ai “barroni”, luogo simbolo del racconto, dove i ragazzi ogni pomeriggio si incontrano - punto di confine tra il quartiere e la città “degli altri” - si discute il mistero della scomparsa, che non è però tale per la tragica madre che va gridando per le strade del quartiere il suo dolore e la sua richiesta agli assassini di avere almeno un cadavere da seppellire.
C'è la musica, naturalmente, al centro degli interessi: la chitarra e il sogno di creare un gruppo, i capelli lunghi alla John Lennon, i pantaloni aderentissimi e a zampa di elefante. Gli ingenui segni distintivi di una generazione che, senza averne ancora acquisito piena coscienza, pensò davvero di poter cambiare la propria vita; ed insieme ad essa il mondo. La parrocchia come unico luogo di possibile aggregazione, ma non certo di liberazione. Bisogna però riscattarsi dai silenzi e dalle ambiguità dell'ambiente e della stessa famiglia di provenienza: soprattutto lo zio Antò, personaggio “‘ntiso” nella borgata, del quale il giovanissimo Guido scopre l'arsenale nascosto e che diventa la causa degli incubi del giovane protagonista.
La via maestra sembra il lavoro in un'azienda del comparto agroalimentare, lontana dalle strade del quartiere d'origine. L'esperienza del luogo di lavoro consente a Guido di acquisire la consapevolezza delle ingiustizie sociali e delle compromissioni che investono il mondo delle aziende: la scelta è l'impegno nel sindacato come strumento per il miglioramento delle condizioni collettive, ma al tempo stesso come occasione di liberazione personale. Attraverso queste dure e non sempre lineari esperienze, che riguardano naturalmente anche la vita personale e sentimentale, Guido cambia in profondità, si libera delle sue interne contraddizioni, recide i vincoli che ancora lo legano al sottomondo della mafiosità. Alla fine ne risulterà, appunto, “smafiato”, come alla fine di un intimo percorso di emancipazione che ne trasforma al tempo stesso il ruolo nella società.
Un libro insomma, che nel raccontare una storia individuale racconta le difficoltà e la drammaticità di una città e di una intera generazione: ma da contraltare alla storia fa il riscatto sociale e etico del protagonista e questo è ciò che rende lo “spessore” del romanzo. Un libro che vi invitiamo a leggere e a consigliare.
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Il ''no'' alla violenza mafiosa nell'esordio alla scrittura di Tarantino
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- Alberto Castiglione